Revanchist

Voto dell'autore: 4/5

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RevanchistE’ tutto da riscoprire questo rude noir marchiato dal timbro del CatIII. Grezzo e gratuito nella forma, butta in scena, anziché introdurre, due ragazzini in cerca di fortuna a Shanghai. Uno dei due finisce in prigione per vent’anni a causa di un omicidio, l’altro cerca una loro cara amica d’infanzia e al contempo combatte contro il padre di lei, divenuto un corrotto e ricco collaborazionista dei giapponesi. Scoperto, sarà abbattuto dal braccio destro del traditore (Zhang Feng Yi, attore in Addio Mia Concubina), che successivamente ricatta il proprio boss e si impone come futuro sposo della figlia. A riportare “l’equilibrio” sarà il fratello uscito di prigione ma ad un prezzo altissimo del tutto annegato nel sangue e nella polvere da sparo.
La regia è sporca e barcollante, gli sviluppi narrativi pressapochisti, nonostante una cura ed estrema inventiva nell’utilizzo delle musiche e di invenzioni varie –non sempre riuscite-  nel campo della messa in scena. Quello per cui il film passerà però alla “storia”, sono le coreografie eccessive  e smaccatamente arroganti a cui hanno messo mano ben tre coreografi che abbondano del wirework con impudenza senza cercare mai nemmeno un attimo di celarlo ma millantandolo continuamente pur di spingere all’eccesso le possibilità coreografiche da esso dipendenti. Dopo alcune sequenze d’azione abbastanza di routine (per la norma del cinema di Hong Kong, ovvio) si passa ad una sequenza a mani nude ottima, una successiva a base di “pole fighting” estremamente inventiva e al finale da annali, che fa ben sperare in un’opera di continua riscoperta di perle all’interno del cinema di Hong Kong ancora fruttuosa. Raramente si legge o si sente parlare di questo film (anche motivatamente) ma almeno la sequenza finale in interni va menzionata e premiata del giusto riconoscimento. Gli ultimi venti minuti infatti esplodono come un’estenuante e deflagrante sequenza balistica di chiaro stampo post wooiano, ma svolta solo da due uomini l’uno contro l’altro. I due, sempre volando e rimbalzando addosso ai decors, continuano a svuotarsi caricatori addosso, abbattendo pareti e colpendosi attraverso il pavimento (o soffitto) anche da un piano all’altro. Successivamente si passa al kung-fu per poi terminare con uno scontro a colpi di katana mentre l’intera architettura della villa che funge da scenografia viene letteralmente rasa al suolo e cosparsa di litri di sangue. Il tutto con un’inventiva esemplare e uno stile pessimo e rozzo, privo di qualsivoglia classe, ma dotato di un’efficacia allarmante. Il tutto mentre fuori del palazzo un uomo e una donna cercano di fuggire armati di mitragliatore, battendosi contro centinaia di guardie e muovendosi tra infinite e inspiegabili esplosioni e colpi vaganti, fino a che addirittura un’automobile fa ingresso nell’edificio abbattendo una parete. Ottimo, come sempre, il finale gratuitamente e forzatamente disperato e funereo, pregiato da un paio di inaspettati tocchi di classe.
Sorge il dubbio che questo sia un altro dei film visti (e amati) da Stephen Chow; all’inizio una banda numerosa è armata di sole asce, proprio come la Axe Gang di Kung Fu Hustle, mentre subito dopo, lo scontro inventivo di pole fighting può evocare quello dello stesso film. Ma è un’invenzione in particolare a far pensare; durante un duello, quando il primo fratello  muore, il decesso è dovuto ad un potente calcio che l’avversario gli porta ai testicoli. Nel momento in cui il piede dell’assassino colpisce la zona, in montaggio vengono mostrate delle uova che si rompono. La cosa procura sinceramente il riso involontario, nonostante si tratti di una sequenza ad alto contenuto melodrammatico e troviamo la stessa scena in un film di Chow di due anni dopo, Forbidden City Cop, quello si una parodia esilarante dei wuxiapian. Follie del cinema di Hong Kong.
A spingere per volersi assolutamente prendere il simbolo del catIII arrivano in aiuto delle immotivate sequenze di nudo, di stupro e di sesso soft.