Sadako DX

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2022. Ormai, dopo la pandemia del Covid-19 il cinema afferra quel tema e ne abusa in decine di diverse versioni (Sick, Kimi…). Nasce così una sorta di filone che testimonia questo periodo storico ed è il riflesso della pandemia reale sulla popolazione vittima di lockdown, riti, regole, cospirazioni. In chiave di documentario, di film di genere, di film spettacolare. Pensiamo appunto al discutibile ma acclamato Kimi di Steven Soderbergh.

In Asia però in passato sono emerse delle pandemie ben più temibili e non stiamo parlando della Sars (e di conseguenza ci tocca citare il thailandese Sars Wars e l’hongkonghese 1:99 Shorts).

Trasmessosi come un virus, l’orrore e le maledizioni si sono mosse attraverso diverse dinamiche, da oggetti, a case, a leggende metropolitane, a videocassette. Poteva esimersi il franchise di Ring? No, infatti.

E a prescindere dal film in sé che è poca cosa, le riflessioni da fare sono però interessanti.

Sadako DX diventa IL film Covid assoluto; se in passato si parlava di metafore, ora Sadako materialmente possiede tutti gli elementi della nostra pandemia “preferita”. E a fianco si sommano un buon numero di inaspettate novità; il ritorno all’analogico con la VHS di un tempo e la drastica riduzione dei tempi di attesa della morte, da sette giorni a 24 ore.

Sadako si trasmette come un (il?) virus, assume l’aspetto dei nostri cari e di persone amate e infette, e si trova a confrontarsi con diverse tipologie di persone. Chi si auto reclude in lockdown, chi con un quoziente intellettivo di 200 si affida alla scienza, affiancati da negazionisti e cialtroni folkloristici che si approfittano di Sadako e ci lucrano. Ogni scelta narrativa del film è un diretto rimando ad una delle tante dinamiche di questi anni di follia e terrore.

La VHS di un tempo (ma con immagini diverse dal video originario) torna in auge, viene digitalizzata e rischia di scatenare una pandemia mondiale, una volta pubblicata on line, sterminando l’umanità.

Ma forse basta convivere con Sadako per raggiungere una spettrale immunità di gregge?

A queste domande risponde il regista Hisashi Kimura, anonimo mestierante ma con una prolifica carriera soprattutto in televisione che adotta l’approccio ironico, se non comico, con cui annega la parte principalmente horror. Scelta discutibile, come discutibile è il film in sé. Se non altro il regista regala i primi minuti di introduzione del personaggio principale interamente realizzati in dettaglio con il viso di Fuka Koshiba (la Kiki del live action di Kiki’s Delivery Service) fuori campo che lasciano ben sperare -almeno tecnicamente- per un film che in realtà non c’è.

Alla fine cerchiamo di guardare ogni film giapponese legato a Ring e Sadako e anche in questo caso siamo di fronte ad un oggetto buffo che interessa più per il concept assolutamente vincente che per il film in sé, esile e mediamente sciocco. Per completisti.