Silver

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Silver

L’ex-agente dell’ FBI Jun Shirogane viene assoldata dal suo ex-collega ed amante Minamida per entrare in un gruppo di agenti segreti e contrastare i cattivoni che operano contro l’ordine mondiale. Come copertura, Jun Shirogane entra in una associazione di Wrestler, la LLPW, in modo da poter girare il mondo indisturbata senza destare sospetti, e per l’occasione prende il nome di Silver. Jun è fortemente motivata a combattere il male, dal momento che mentre lei era negli USA per un torneo di Karate, un gruppo di Yakuza ha sterminato completamente la sua famiglia. E così, il primo avversario che si trova di fronte è la dark lady Nancy Otori, regina del sadomaso, che è solita soggiogare e manipolare personaggi appartenenti alle alte sfere, della malavita e non.

Subito dopo il termine delle riprese dell’ultimo capitolo della trilogia sulla mafia cinese, ovvero il notevole Ley Lines (1999), Takashi Miike torna a girare un film in collaborazione con lo sceneggiatore Hisao Maki, con cui aveva collaborato per l’ultima volta 4 anni prima in occasione del terzo capitolo di Bodyguard Kiba. Un ritorno agli inizi della carriera, quindi, che sembra riflettersi anche sul film, di certo uno dei meno riusciti mai girati dal regista giapponese. Se parte della responsabilità della riuscita o meno del film va indubbiamente imputata al regista, che pare aver lasciato da parte i progressi fatti negli ultimi anni, in questo caso lo zampino di Hisao Maki è bello consistente: oltre ad essere l’autore del manga da cui Silver è tratto, egli è anche sceneggiatore, produttore e attore.
La sceneggiatura, ecco uno dei più grossi limiti del film: il film arranca per un’ora e venti minuti senza appassionare, le situazioni si susseguono quasi a caso e i personaggi sono piatti e poco interessanti. E ci si annoia, decisamente. Per non parlare del finale apertissimo che non può non innervosire o di personaggi che compaiono e scompaiono (il colmo è un personaggio che non si capisce chi sia e che compare in una sola scena ma che sembra un cattivone bello potente. L’unico indizio è il fatto che questo energumeno provenga dal fantomatico Whipping Hole, probabilmente una tana di gaglioffi). Da quanto leggo su Agitator di Tom Mes questo Silver è nato come episodio pilota di una serie mai realizzata, quindi se vogliamo trovare un’attenuante alla sconclusionatezza del tutto, eccola qua.
Per quanto riguarda i personaggi la situazione è aggravata dal fatto che gli attori sono piuttosto anonimi nelle loro performance, a partire dalla protagonista che interpreta Jun, ovvero la pettoruta Atsuko Sakuraba, fortunata proprietaria di due poppe che potrebbero far concorrenza a quelle di Anna Ohura. Ma, come ben saprete, nella maggior parte dei film non si recita con le tette (o perlomeno non solo), e in quanto a espressività la Sakuraba non è proprio il massimo. Gli altri attori sono anch’essi in linea col film, da Kenji Haga che interpreta Minamida a Yasukaze Motomiya che è il killer con le freccette. Il personaggio più interessante – entro i limiti del film – è forse quello di Nancy Otori/Keiji Matsuda, la vampira sado maso che sembra riprendere in chiave femminile il ruolo di Shu-Ming Wang/Tomorowo Taguchi in Shinjuku Triad Societye anticipare l’irraggiungibile Kakikhara/Tadanobu Asano di Ichi the Killer. Ma se nei due film appena citati i due personaggi hanno spessore, anche perché interpretati da due ottimi attori, nel caso di Nancy Otori il personaggio rimane comunque in superficie, e i vari eccessi a cui lei si sottopone (si cola della cera sul seno, roba da educande rispetto alle mutilazioni di un Kakihara) o a cui sottopone le sue vittime (fustigazioni sul pene – ovviamente pixellato, sodomizzazioni, drink a base di urina) non riescono a colpire a fondo lo spettatore, strappando tutt’al più un sorrisino disgustato. A livello visivo il film non è comunque tutto da buttare, visto che qualche miikata degna di nota c’è sempre: un paio di scene che vedono Silver in azione con la sua arma preferita (le monetine – probabilmente d’argento) sono divertenti. Ancora meglio la scena inziale, che parodizza The Texas Chainsaw Massacre, con un killer yakuza tale e quale a Leatherface. Ma tutto ciò non basta assolutamente a risollevare il tenore del film.
Le tematiche miikiane affondano inesorabilmente come il resto del film, affiorando timidamente qua e la ma rimanendo appena abbozzate, come se il regista non avesse proprio voglia di svilupparle. La più evidente è quella dell’outcast nei panni della protagonista; donna, orfana di genitori e proveniente dagli USA. Per il resto, poco altro.
Persino le musiche di Kôji Endô, autore di innumerevoli colonne sonore dei film di Takashi Miike, qui sembra poco ispirato, mentre il direttore della fotografia Tanhiko Mitsui, che aveva già lavorato con Miike per i due Oretachi wa tenshi ja nai (1993) alterna momenti di luce/buio e colori saturi senza particolari virtuosismi o finezze: in più di un’occasione ho avuto l’impressione di trovarmi davanti ad un film porno.
Alla fine della corsa la cosa più interessante è il fatto che Silver rimane uno dei rari film di Miike (come Visitor Q o Audition, per esempio) dove i personaggi più potenti sono le donne, anziché gli uomini come al solito. La protagonista è una donna che si mangia in un sol boccone fior fiore di scagnozzi, e la sua nemesi – perlomeno nei primi 2/3 del film - è Nancy Otori che è l’unica che le darà filo da torcere. Vedere poi come Nancy sia l’assoluta dominatrice di uomini, umiliandoli, sfruttandoli per i propri scopi e piaceri, non da spazio ad ulteriori dubbi: le donne spadroneggiano. Senza poi contare le donnicciuole appartenenti alla federazione LLPW, Lovely Ladies Pro Wrestling (c’è anche Rumi Kazama, famosa wrestler, che interpreta se stessa). Potere alle donne!