Sinkhole

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Ci vuole una sospensione dell’incredulità particolarmente alta per riuscire a sopportare un film come Sinkhole.

Park Dong-won (Kim Sung-kyun) ha lavorato dieci anni per comprarsi un appartamento in un bel condominio alla periferia di Seoul. Non fa in tempo ad andarci ad abitare, che sotto al palazzo si apre una voragine verticale profonda centinaia e centinaia di metri. Il palazzo anziché sgretolarsi, precipita intero nel pozzo, rimbalzando qua e là, ogni tanto incastrandosi sulle pareti per poi ripartire, secondo gusto, la sua discesa verso il fondo. Prossimi alla fine del film, una seconda casa precipiterà nel pozzo ma a testa in giù, senza sgretolarsi e conficcandosi qualche metro prima dell’altra, mentre dalle pareti senza un senso logico esplodono delle parti di roccia da cui escono geiser d’acqua che vanno ad inondare il “pozzo”. I sopravvissuti non dovranno districarsi in mezzo alle macerie, ma se ne andranno a spasso per i vari piani del palazzo cercando di uscire, mentre fuori i soccorritori, in ritardo su tutto, tentano imbarazzanti e pittoreschi tentativi di recupero.

Ci si fa l’idea delle case coreane estremamente robuste e monoblocco e decisamente negativa dell’inefficienza del personale di emergenza.

In realtà sono le basi del catastrofico sud coreano, un genere che fortunatamente esiste, ha un buon riscontro in patria ma offre il più delle volte dei film di esilissima rilevanza. Di questi film la parte più interessante è sempre il primo atto in cui vengono caratterizzati i personaggi, prima che entri in scena il conflitto principale e si palesi il genere. Pensiamo anche all’interessante Exit che aveva una prima parte di ottimo livello, tranne perdersi verso la fine della seconda; era comunque anni luce migliore di Sinkhole. 

Ci lamentiamo spesso delle sceneggiature mal fatte. In realtà in questo film c’è anche un discreto lavoro in questo senso ma è così freddo, manualistico, schematico che non basta a creare empatia nella seconda parte del film che è a tratti così sconclusionata -finanche surreale- da rendere incomprensibile il senso stesso delle sequenze, quando ci si trova spaesati tra il comico (involontario?) e il dramma.

Gli effetti digitali li si accetta per simpatia mentre le scenografie reali forniscono fortunatamente un maggiore impatto drammatico.

Posticipato a causa della pandemia Covid, il film ha avuto un’anteprima al Festival di Locarno (e un passaggio successivo al Florence Korea Film Festival) e si è comunque piazzato tra i maggiori incassi dell’anno in Corea del Sud.

Se dovessimo situarlo in un genere e in un pubblico preciso, è probabilmente quello di film come Okay Madam o Extreme Job, film esilissimi, popolari, scritti in maniera discutibile, privi di ogni spessore e spesso di ridottissimo pregio ma di intrattenimento e colossali incassi in patria.

Personalmente però il cinema è altrove.