Taoist Priest

Voto dell'autore: 3/5

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Trentacinque anni dopo Mr. Vampire, Ricky Lau torna a dirigere un film che ne è copia speculare. E nulla importa che di mezzo ci siano stati decine di titoli generati dal suo capostipite, che ci sia stata la rivisitazione nostalgica postmoderna di Rigor Mortis e perché no, il metodo di omaggio dei classici di Kung Fu Hustle (tra parentesi citato apertamente e inutilmente in una scena di questo film).

Lau si prende gli attori di allora, Chin Siu-Ho (Rigor Mortis) e Billy Lau Nam-Kwong, ci aggiunge un veterano del calibro di Norman Chui Siu-keung e non avendo il simbolo stesso del genere, Lam Ching-Ying (deceduto prematuramente) nel ruolo del monaco taoista, ci appoggia una sorta di identico cosplay.

Sembra quasi un film per sé stesso e al contempo sentito regalo ai fans visto che il film utilizza in maniera davvero timida gli effetti digitali, per sfruttare tutti i trucchi e metodi del passato: cavi, arti marziali e coreografie, fumo, luci, props, riproduzioni fittizie dei personaggi da lanciare nel set e tutto l'armamentario che gli appassionati conoscono e hanno amato. Ecco quindi uscire fuori dal presente un prodotto anomalo del passato. Perturba un po' confrontarsi con un titolo del genere. Ha ancora senso fare film in questo modo? Non è un qualcosa di anacronistico? Di maniera? Di falso? E' accettabile? Difficile giudicare e muoversi tra il gusto della nostalgia (la qualità dell'azione e l'ottima regia sono le stesse di allora) e il confronto con qualcosa di ormai andato. E' la stessa emozione provata di fronte all'ultimo Ching Siu-tung, Jade Dynasty, in cui il maestro recuperava tanti dei trucchi e visioni del suo passato. Filtrate però da un budget alto e da un'invasione di effetti digitali competitivi e moderni. Qui no.

Inutile girarci intorno, perché alla fine si arriva sempre lì. Ma la narrazione? In questi casi è l'unico elemento a poter fare la differenza. E qui va detto che il film di Lau non è realizzato ad Hong Kong ma in Cina, paese a quanto pare ancora poco empatico verso la superstizione al cinema, nonostante la attuale sovrapproduzione di horror, fantasy et similia.

Quindi? Qui la cosa buffa. Il film mette in scena quindi vampiri saltellanti, fantasmi femminili che volano tra mille veli, combattenti potentissimi, e un boss con tre braccia. E il film è interamente votato a mostrare l'azione dei due eroi nello svelare come tutti gli orrori noti ai fans siano dei trucchi carnevaleschi di un gruppo di contrabbandieri di oppio che sfruttano finti vampiri saltellanti (e relativo Fat-si) per trasportare lo stupefacente. Viene quindi fornito un perfetto piatto come allora, con lo stesso stile e qualità dei combattimenti e dell'azione e in parte la stessa follia e libertà, ma giustificate dalla scienza come sempre avviene nel cinema di Tsui Hark. Come non bastasse questa soluzione, discutibile ma buffa, è anche presente un monologo finale retorico che condanna la superstizione e le credenze polverose in virtù di una Cina moderna e razionale.

Difficile quindi prendere una posizione di fronte ad un film del genere che a fronte di un budget modesto offre un effetto nostalgia quasi grottesco ma un senso del cinema pressoché nullo.

Divertirà sicuramente i fans un po' come già fatto con il recente remake di Storia di Fantasmi Cinesi e tanti film medi cinesi di questi anni, sorta di rip-off a budget contenuto di titoli più famosi, medio divertimento per i fans, bassa rilevanza artistica ma sicura conferma di un'industria solida e vitale. Per quelli che continuano a ripetere che non esiste più il cinema di Hong Kong fatto come allora, arriva in risposta questo film. Ora, sicuri di volerlo?