The Calamari Wrestler

Voto dell'autore: 3/5

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the_calamari_wrestlerKawasaki aveva le idee chiare fin dai primi film e una concezione di universo filmico riconoscibile e coerente.
The Calamari Wrestler non si distanzia poi tanto da lavori successivi come Executive Koala o Kani Goalkeeper; ovvero un inserimento indolore e “normalizzato” di estetica tokusatsu all’interno dei binari codificati dei generi. La differenza maggiore è che in questo film una lieve titubanza tende a motivare le tre creature e a limitarne la portata metaforica oltre a presentarle agli abitanti umani del mondo “reale” come quello che sono, ovvero dei pesci giganti antropomorfi; l’accettazione del popolo è  notata e dichiarata nel corso del film a differenza –ad esempio- di Executive Koala dove koala, coniglio e rana erano perfettamente integrati nella società senza apparente differenza sociale con gli altri abitanti di quell’universo narrato (un po’ come in un manga di Akira Toriyama).
Un campione del pro-wrestling si ammala e muore. La sua donna e il suo ruolo è così “rubato” da un nuovo atleta. Nel climax di un incontro questo sarà però battuto e umiliato da un wrestler dall’aspetto di calamaro; non si tratta altro che di una reincarnazione dell’uomo scomparso tornato per riprendersi ciò che gli spetta. In cerca di un incontro ufficiale con quello che reputa un usurpatore il calamaro si troverà nel ring il suo avversario tramutato però in polipo, mentre poco dopo una letale squilla mantis (una cannocchia) giungerà a scombinare il successo ottenuto.
La formula è la solita; un soggetto finanche banale –in questo caso un film sportivo di riscatto e vittoria- muta e assume senso ulteriore grazie alla presenza stessa delle creature e degli equivoci del caso. Una sferzata di melodramma, di psicologia introspettiva e di umorismo spesso affilato formano una dolce e allettante crosticina superficiale al tutto.
In un certo senso sembra che il regista si muova su due universi artistici paralleli, uno in cui la “magia” è accettata e normalizzata (come in Executive Koala) uno in cui invece essa si inserisce traumaticamente (come in questo film) nella realtà. A provare la paradossale “artificiosità” e inesistenza nel primo universo rispetto a questo secondo è il dettaglio in Executive Koala in cui il protagonista tiene appeso al cellulare una miniatura del Calamari Wrestler. Reale separazione di universi o semplice citazione iconica?
Il regista opta comunque per una continuità di messa in scena, regia classica, a volte televisiva, fotografia alterna tra “piena luce” (ancora di stampo televisivo) e invenzioni cromatiche ardite.
E coerentemente spinge sempre i personaggi ad affrontare i propri fantasmi in sessioni oniriche (in molti suoi film vengono mostrati sogni, a volte premonitori, e successivi risvegli).
Un film divertente, follemente esotico per uno spettatore occidentale, ma –ormai appurato- onesto e sincero visti i successivi colpi del regista. Innegabilmente piacevole.