The Eternal Evil of Asia

Voto dell'autore: 3/5
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Quattro amici (Chan Kwok-Bong, Elvis Tsui, Bobby Au-Yeung e Ng Shui-Ting), rientrando da un viaggio in Tailandia, scoprono di essere perseguitati da un fantasma. Solo in seguito scopriranno che si tratta dello spirito di una ragazza che hanno accidentalmente ucciso durante la loro vacanza, sorella di un potente stregone (Ben Ng) ora in cerca di vendetta.

Ideale summa di tutte le possibili bizzarrie del fantasy “made in Hong Kong”, The Eternal Evil of Asia è un travolgente e continuo saliscendi – qualitativo, emozionale e contenutistico – dal quale è difficile uscire indenni: umorismo di bassa lega, nudità, sangue e magia nera si intrecciano in un prodotto che potrebbe tranquillamente rappresentare il bignami del perfetto Cat. III. Il nocciolo della questione è rappresentato dal motto “prendere o lasciare”: questo perché si tratta di un’opera così anarchica e priva di punti di riferimento che si passa senza soluzione di continuità da un genere all’altro, spiazzando e lasciando l’improbabile come unico sovrano assoluto.

Cash Chin Man-Kei, nelle vesti di regista e sceneggiatore, costruisce il film ponendo come sue basi fondanti delle folli intuizioni a cavallo tra il genio e la demenza: l’incipit smaccatamente horror lascia il passo a diverse scene di stampo softcore e nella seconda parte il film si trasforma in un fantasy sovraccarico e stilizzato, ricco di trovate stravaganti e rimandi intertestuali.

Elvis Tsui diventa la parodia di sé stesso (basti pensare che durante una scena il suo cranio viene trasformato dalla magia in una sorta di enorme fallo), Kingdom Yuen riprende con un cameo il ruolo che la rese celebre in Raped by an Angel e sul finale si assiste ad un rutilante scontro tra stregoni, che ha come vertice assoluto la fellatio che Ellen Chan compie su un fantasma invisibile.

Certo, il film non sta assolutamente in piedi e dista diversi anni luce da qualsiasi tipo di buon gusto, ma l’obnubilante libertà espressiva che traspare da ogni singolo fotogramma riesce a sopperire senza grossi problemi alle sue innumerevoli lacune. Un esperimento talmente eccessivo che per via della sua natura può essere giudicato esclusivamente per eccessi: chi intende esplorare i limiti dell’anarchia cinematografica aggiunga pure due punti al giudizio, mentre tutti gli altri, invece, ne sottraggano lo stesso quantitativo senza grosse remore.