The Great Yokai War: Guardians

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Il 5 settembre 2005 approda a Venezia The Great Yokai War, non l’unico film di Miike a giungere al Festival grazie allo sguardo acuto del direttore Muller (a memoria ricordiamo la presenza nel tempo anche di Zebraman 2: Attack on Zebra City, Izo, Three… Extremes, Sukiyaki Western Django). Trattasi di un entusiasmante revival della mitologia degli yokai resi celebri anche in occidente dai manga di Shigeru Mizuki e da una trilogia per le sale della Daiei, rivitalizzato dalla mano esuberante ed energica del regista. Il risultato, un film popolare di altissima caratura.

Inaspettatamente, sedici anni dopo, giunge nelle sale The Great Yokai War: Guardians, sorta di sequel nominale, accomunato dal contesto e dalla figura dei ragazzini come protagonisti empatici. Miike propone così un’altra opera di entusiasmante intrattenimento, forse meno riuscita del precedente titolo ma ancora carica di idee e immaginari refrigeranti. Tutto è più grande, grosso ed esagerato a partire del conflitto principale rappresentato da uno “yokaiju”, uno yokai in stile Godzilla che attraversa il Giappone travolgendo tutto quello che si trova davanti. Trattasi di una malinconica creatura generata dal rancore dei fossili presenti nella fossa magna giapponese che si uniscono in una forma colossale che cerca di arrivare all’oceano per ritrovare la serenità perduta nel proprio habitat.

Ovvio che a fronte di una minaccia di tale livello a nulla può il numero seppur enorme di yokai presenti, finanche affiancati da mostri occidentali ad un incontro diplomatico. Ecco quindi che abbiamo uno scheletro di drago volante, un drappello di violenti oni, un Inugami Gyōbu che cavalca una moto di fuoco a comando di un esercito sconfinato di buffi tanuki e infine -puro fanservice cristallino- il rabbiosissimo ed enorme Daimajin, protagonista di un’altra trilogia della Daiei Film degli anni ’60.

Seppur con un ritmo molto personale proprio del regista e alcune parti probabilmente troppo estese (si pensi a tutta la sezione sotterranea con il demone volpe) il film poggia come al solito sulla frequenza di idee libere e scatenate e soprattutto su un immaginario visivo di altissima resa. All’interno del cinema di azione contemporaneo sono ben pochi a riuscire a elaborare l’immagine nell’azione con una cura e una visione autoriale di tale livello; ci viene in mente Miike, il nuovo cinema indiano e poco d’altro.

Per essere quindi un film leggermente minore, Miike regala un’opera di intrattenimento intelligente e a tratti esaltante, toccando note commoventi e una partitura visiva refrigerante, offrendo gratifica totale ai fans di tutto l’armamentario folkloristico, e dirigendo il miglior restyling possibile di questo universo iconico giapponese.