The Private Eye Blues

Voto dell'autore: 4/5

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The Private Eye BluesDei credits così grossi non potevano che portare ad un grande film.
Scrive, dirige e monta Eddie Fong, interessante e anomala figura dell’industria cinematografia di Hong Kong, supportato dalla compagna Clara Law (altra nota regista locale) come consulente visiva. Produce Teddy Robin Kwan, carriera più che ventennale, perfettamente ottimizzata nella produzione, il campo probabilmente a lui più consono. Direttore della fotografia, un altro regista, Jingle Ma e un cast vario e funzionale.
Il risultato è un altro di quei grandi film possibili solo ed esclusivamente ad Hong Kong, basato su una sottile ma coerente membrana narrativa e supportato da uno stile di furiosa efficacia, vitalità e sperimentazione, una volta tanto, pulita e organizzata, senza sbafature di stile. Pura libertà espressiva, voglia di narrare col cuore, divertire e divertirsi, esprimersi con ogni mezzo cinematografico possibile, movimenti e posizioni di macchina ardite, accelerazioni o ralenti, sfumature cromatiche antinaturalistiche, recitazione astratta e sopra le righe, momenti surreali ed eccessivi alternati a sequenze dolci e controllate. Il regista è attento studioso della cultura nipponica e in questo film ne adotta lo stile e la tendenza pop fumettistica trattenendo però tutto lo svolgimento ben ancorato alla cultura locale, forzando ancora di più questo aspetto ambientando The Private Eye Blues nelle immediate vicinanze dell’handover che avrebbe riportato nel 1997 il territorio di Hong Kong alla Cina. Il film possiede inoltre strane affinità con la serie animata nipponica Cowboy Bebop; il protagonista interpretato da Jackie Cheung assomiglia allo Spike della serie, mentre la ragazzina cinese rievoca il personaggio di Ed, coccolati da languide note blues e da un ambientazione cupa e introspettiva al neon.
Una fotografia, fenomenale, composta di contrasti e armonie, contrasti di contrasti, monocroma con sezioni alterate, accompagna una storia dura da raccontare; ancora una volta non è il cosa si racconta ma il come e il come riesce a portare avanti il metraggio della pellicola con coinvolgimento e interesse.

Coz (Jackie Cheung) è un introspettivo investigatore privato dalla bottiglia facile, sempre a contatto con clienti al limite del caso umano. L’ultima missione è trovare e prendersi cura di una ragazzina cinese (Mavis Fan) che sembrerebbe la pronipote di Deng Xiaoping. Logicamente si mettono sulle tracce dell’uomo eserciti di poliziotti, triadi, servizi segreti, mentre il rapporto da tempo incrinato con la ex moglie sembra in parte riemergere, grazie anche alla presenza della piccola figlia dei due. Improvvisamente il segreto della ragazza mainlander sembra palesarsi e anziché essere la pronipote di Deng è in realtà “solo” una ragazza dotata di poteri speciali che funzionano a tempi alterni. La direzione della tragedia finale sembrerebbe irreversibile. Forse.

Su questo folle sviluppo narrativo si susseguono sequenze geniali e memorabili, tra un mexican stand off affollatissimo, a segreti e rivelazioni detti in un cinema a luci rosse tra lacrime e risate, fino ad una cliente convinta che l’amante di suo marito proprietaria di un ristorante abbia ridotto l’uomo scomparso ad un maiale arrosto e che impazzisce quando l’investigatore inizia a sgranocchiarlo. Un film memorabile, assolutamente da recuperare nella ricerca di pepite d’oro del cinema di Hong Kong dei bei tempi andati.