The Untold Story

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Dopo aver arso vivo un amico, colpevole di non aver pagato un debito di gioco, Wong (Anthony Wong) scappa da Hong Kong e si rifugia a Macao dove trova lavoro in un piccolo ristorante a conduzione familiare. Non tarderà molto prima che la sua follia omicida esploda nuovamente: a seguito di una lita scaturita dopo una partita a mah-jong uccide il titolare dell’Eight Fairies Restaurant, trucidandone inoltre moglie e figlie. Il ritrovamento sulle spiagge di Macao di arti che corrispondono a quelli della famiglia sterminata porterà la polizia sulle tracce del criminale, costretto a confessare dopo aver subito le più terribili torture.

The Untold Story, conosciuto nel mondo anche come Bunman: The Untold Story, o ancora come Human Pork Chop (Benny Chan userà nel 2001 questo AKA del film per dare il titolo ad una sua pellicola, per niente imparentata con quella di Herman Yau), con riferimenti più o meno espliciti all’abitudine del protagonista di cucinare i classici bun cinesi ripieni di carne umana, è forse il Cat. III più blasonato e conosciuto oltre le frontiere cantonesi. Forte degli oltre quindici milioni di dollari hongkonghesi incassati al box office, di diversi sequel e di innumerevoli edizioni in dvd e vhs che hanno deliziato fan americani ed europei, il film ha catapultato il nome di Herman Yau fuori dai confini dell’Asia e lo ha imposto indissolubilmente come regista icona del category III ultraviolento.

Il merito di aver fatto assurgere il film a leggenda del genere va equamente diviso tra il regista, il produttore (Danny Lee Sau-Yin che nel film interpreta inoltre il poliziotto antagonista a cui sono affidati gli intermezzi comici che fanno da contraltare al nichilismo presente nel resto della pellicola) ed Anthony Wong, che con questa interpretazione si è aggiudicato il premio come miglior attore protagonista alla 13esima edizione degli Hong Kong Film Awards (battendo sul filo del rasoio Lau Ching-Wan grande favorito per l’interpretazione di un film ben più fruibile come C’est La Vie, Mon Cheri): una svolta nella carriera dell’attore che, dopo dieci anni di lavoro nell’ombra, nello spazio di un paio di film (Hard Boiled di John Woo e Full Contact di Ringo Lam) ha finalmente potuto godere di una platea internazionale.

Del film, costato circa sei milioni di dollari di Hong Kong e tratto da una storia di cronaca vera avvenuta a Macao, Andrea Tagliacozzo e Giona A. Nazzaro hanno dato una definizione che perfettamente ne coglie morbosità, quantità di sangue versato e violenza psicologica espressa: “cinema limite e limite del cinema”.1

Il limite in questo caso non è da intendersi come un confine tracciato da Herman Yau e che nessuno ha più provato a valicare, ma è quella linea immaginaria che è impossibile oltrepassare ottenendo contemporaneamente buoni risultati. Nonostante tutte le efferatezze mostrate, The Untold Story è un film misurato, ragionato e in qualche modo frenato, anche se queste parole associate alla pellicola possono apparire a molti nient’altro che un ossimoro.

Per tutta la prima parte il regista sembra autolimitarsi, per esplodere la violenza di cui è capace solo negli ultimi minuti: inizialmente ad ogni scena violenta esplicitamente mostrata ne alterna una fuori campo (la scena dello stupro con le chopsticks per esempio non avviene esplicitamente davanti alla macchina da presa mentre nei minuti precedenti non ci sono remore a mostrare più del mostrabile) ed addirittura per ben due volte nella diegesi sono i personaggi stessi a fermare le torture ai danni di Anthony Wong (prima un secondino del carcere dove Wong è appena stato rinchiuso, poi uno dei poliziotti che lo insegue nell’ospedale dal quale tenta di fuggire).

E’ con questo espediente che il regista si impone di esagerare ma non andare oltre, pena il non sortire l’effetto voluto: ed infatti in Ebola Syndrome, che del film si potrebbe quasi considerare l’ideale seguito, il cineasta varca il limite che lui stesso ha tracciato, girando qualcosa di ancora più crudele e feroce ma perdendo di quella credibilità che era riuscito a costruire con la ponderazione (nell’estremo) propria di The Untold Story.

Così facendo risaltano le componenti grottesche e, forse, volontariamente ironiche, sicuramente molto lontane dalla potenza nichilista del film precedente.

 

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1 Giona A. Nazzaro, Andrea Tagliacozzo, Il dizionario dei film di Hong Kong, Chieti, Universitaria Editrice, 2005, p. 428-429