Three...Extremes

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Three...ExtremesAcclamato come nuovo imperdibile horror, l’unione di tre grandi nomi come Miike Takashi, Park Chan-wook e Fruit Chan, appare invece tutt’altro che un horror tradizionale. Composto da tre episodi separati, Three…Extremes mette in luce soprattutto paure e paranoie odierne. Tra i sensi di colpa, l’invidia e la necessità di ringiovanire, questo trittico si presenta come un’opera perturbante che ha chiaramente colpito gli animi festivalieri a Venezia.

Dumplings, l’episodio di Fruit Chan, già noto al pubblico hongkonghese per essere uscito pochi giorni prima in sala nella versione lunga, in  questa sorta di “versione secondaria” elimina tutti gli elementi estranei alla narrazione per focalizzarsi interamente intorno al dramma di Qing, una famosa attrice ormai sopra i quarant’anni, disperata dai primi segni dell’invecchiamento. Infatti, a causa del passare del tempo, il marito la tradisce con donne più giovani, lasciandola interi mesi da sola in una stanza d’albergo, in attesa che la loro casa sia restaurata. La donna, così, decide di rivolgersi a Zia Mei, un’apparente trentenne che ha scoperto la formula dell’eterna giovinezza: mangiare feti umani. Con la continua assunzione di questi ravioli (da cui il titolo) contenenti il macabro ripieno, i risultati sembrano farsi vedere…ma anche degli effetti inattesi.

Dopo aver lasciato il pubblico senza parole, l’atmosfera cambia improvvisamente, non appena ci si presenta agli occhi Cut, l’episodio di Park Chan-wook. Come un incredibile e perfetto quadro, fatto di ambienti patinati e computer grafica al limite del verosimile, Cut ci racconta una storia di invidia. Un attore-comparsa stanco di avere una vita infelice sia in famiglia che al lavoro, sequestra il noto regista e produttore Ryu Ji-Ho, prelevandolo da casa sua e portandolo in un set fatto ad immagine della stessa casa di Ryu Ji-Ho. Perché questo raptus d’odio? Perché Ryu è l’uomo perfetto: fama, ricchezza, felicità in famiglia, una moglie bellissima e, soprattuto, una completa bontà d’animo. Ed è nella più assoluta e malata invidia che il sequestratore cercherà di costringere Ryu a fare un gesto che gli possa portare via l’aura di perfezione che lo circonda: uccidere una bambina in cambio della vita della moglie. E in un momento come questo la follia cresce in tutti i presenti, giungendo ad un finale a sorpresa.

Box, come seconda opera di Miike quest’anno presente a Venezia, lascia forse meno perplessi di Izo, ma non manca di inspiegabili risvolti. Box è la scatola che Kyoko sogna; la scatola in fiamme nella quale si nasconde il suo più grosso incubo. Infatti, Kyoko, discreta scrittrice, prova una forte attrazione per il suo editore. Eppure, nei sogni come nella vita reale, vivono in lei le piaghe incurabili di un remoto passato: la morte della sua sorella gemella e una forte attrazione per la figura del patrigno. E sono proprio le fattezze di quest’uomo che lei continua a cercare, anche nell’editore, forse nel disperato tentativo di espiare la sua colpa. Ma il vero dubbio è se la colpa sia reale o onirica e, soprattutto, se sia realmente sua...

L’horror più convenzionale, cioè quello di Fruit Chan, che è riuscito a sviluppare una narrazione coerente e conclusa attraverso un tema tanto delicato, è incredibilmente quello che ha fatto più discutere. Al di là della bellezza o meno del film, poiché il parere è puramente personale, la cosa che è saltata agli occhi o alle orecchie di tutti è stata la reazione, quasi indispettita, della maggior parte del pubblico femminile. Moltissime donne, infatti, oltre che uscire dalla sala non appena scoperto di cosa si trattasse, non hanno taciuto a nessuno il fastidio provato alla visione del film. Si potrebbe quindi affermare che tra i tre episodi, Dumplings sia quello meglio riuscito nel suo intento. Oltretutto, bisogna ricordare, che vedere il Dumplings uscito nelle sale, non significa vedere una versione allungata del Dumplings di Three…Extremes, poiché, infatti, i finali sono completamente differenti, e nessuno dei due lascia con l’animo in pace.

Più deludente, forse, è Cut. Bello, anzi, bellissimo a livello visivo, però carente sia a livello narrativo che di sviluppo. Cut più che spaventoso o “fastidioso” è quasi grottesco. Perfette sono infatti le scene in cui il sequestratore si improvvisa in siparietti comico-recitativi, o in cui il protagonista tenta inutilmente di umiliarsi. Ma giunti alla fine del film alle labbra sorge una domanda simile ad un “e allora?”.
Sì, c’è il colpo di scena, ma è ingiustificato e non se ne comprende la causa. Carenza narrativa o ribaltamento voluto in questo modo? Forse Cut è un horror soft con cui rifarsi gli occhi, con l’intricata bellezza delle torture a cui viene sottoposta la moglie del protagonista e il set tanto lussuosamente “vampiresco” nel quale si ambienta la storia.

Opponendosi alla perfezione dell’ambiente di Park, Miike ci offre invece un infinito e caleidoscopico ambiente mentale. Box è una sottile linea che divide il reale, dall’immaginario e lo stato di veglia da quello del sogno. Nell’impossibilità di comprendere quali siano i personaggi reali e quelli mentali, quindi, è bello abbandonarsi e lasciarsi turbare dalla mente di Kyoko e dalla sua impossibilità di uscire dal tormento…se mai ci è entrata. Come film di Miike non può definirsi deludente, anzi, però, a mio avviso, affiancare un film del genere all’uscita di un colosso come Izo, è forse giocare a proprio sfavore.
In ogni caso, sfiorando o approfondendo grandi tormenti dell’uomo contemporaneo, Three…Extremes è bello perché ognuno può lasciarsi turbare da ciò che è più vicino alla propria sensibilità. Ed è stato questo, probabilmente, lo scopo dei tre autori.