Three

Voto dell'autore: 3/5

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ThreeA differenza del suo “figlioccio” (Three…Extremes) Three si sviluppa come l’insieme di tre horror veri e propri, più rispettosi degli standard del genere, sonori, visivi e narrativi e, assolutamente, meno personal-paranoico dei lavori raccolti in Three…Extremes.

Three è il parto di tre registi, Kim Jee-Woon (The Quiet Family, The Foul King, A Tale of Two Sisters) coreano, Nonzee Nimibutr (Nang-Nak) thailandese e Peter Chan Ho-Sun (Comrades: Almost a Love Story)  hongkonghese, che hanno creato con dei mediometraggi un’opera unica, ricca di elementi pregevoli e altri, naturalmente meno perfetti. Three esordisce nel più classico dei canoni horror: la non distinzione tra lo stato di sogno e quello di veglia. Il più "spaventoso" è l’episodio di Kim Jee-Woon, Memories, forse per lo sfruttamento di retaggi di inquietudine infantile rispetto all’oggetto mostrato(una bambola), ma sicuramente anche perché gli effetti sonori sono utilizzati al momento giusto per enfatizzare al massimo le azioni messe in scena. Decisamente interessante questo primo episodio, collegato ad una non confermata sindrome di sdoppiamento della personalità del protagonista, vivendo attraverso i suoi occhi incubi e paure in un luogo chiamato “New Town, dove tutti i sogni diventano realtà”, che già preannuncia dove vuole portarci l’autore. Onore e merito anche per la scelta della protagonista femminile Kim Yee-Soo, veramente molto brava nella parte che deve riuscire a gestire e nel suo quasi totale mutismo obbligato per tutta la narrazione. Memories è giocato bene soprattutto per l’aver messo in scena eventi che possono sembrare assurdi, ma che non essendo veri possono apparire però verosimili, e che fino alla fine non fanno comprendere completamente quale sia la verità. Non si può dire che il finale sia aperto, ma qualche dubbio può sempre restare, visto soprattutto lo stato in cui fin dall’inizio, sappiamo si trova il protagonista maschile, Jung Bo-Seog.

Delizioso anche l’episodio thailandese, The Wheel, per l’opinione comune il peggiore dei tre. Regia ed attori sono senza dubbio un po’ statici, ma la narrazione prosegue come un racconto di paura simile a quelli che si leggono da bambini. Ci troviamo infatti all’interno di una famiglia il cui lavoro è quello di danzatori e teatranti di marionette. Per una tradizione thailandese, però, solo il creatore delle marionette gli può dar vita e, pertanto, morto esso non dovrebbero essere più toccate. Ed è proprio quest’incantesimo letale lanciato sulle marionette del maestro Tao, che condizionerà la progressiva distruzione di tutta la gente che vi viene a contatto. La luce perennemente fioca nella quale sono girate le scene e l’atmosfera soffocante che si sviluppa attraverso fumo, fuoco e acqua, condiziona fortemente lo spettatore ad una visione maggiormente negativa nei confronti di ciò che avviene e, probabilmente copre le pecche narrative ed ingiustificati salti temporali che vi sono al suo interno. Il bello di questo episodio, però, è la fine fattura delle marionette di demoni ed eroi che vengono rese vive dai teatranti, e la comprensione dell’impossibilità di infrangere una maledizione.

In tutt’altro ambiente, invece, si svolge l’episodio hongkonghese Going Home. Nuovamente alle prese con un evento che coinvolge più persone e non con un’ossessione personale come accade in Three…Extremes, padre e figlio si trasferiscono in una decadente casa popolare, in cui non vi è più quasi nessun abitante, se non i dirimpettai: un medico e la moglie paralitica. Assolutamente imprevedibile lo svolgimento della storia, ma forse un po’ “scontati” i legami che vengono ad instaurarsi tra adulti e bambini. Il ragazzino protagonista, il bravissimo Li Ting-Fung, inquietato dalla bambina dell’appartamento di fronte avrà infatti solo relazioni con lei e questa storia parallela che viene a crearsi sembra una scusa per avere un filo conduttore tra inizio e fine del film, che invece scarseggerebbe senza di essa.
Complessivamente è un lavoro molto piacevole; il punto a favore rispetto a Three…Extremes è la coerenza con l’essere “horror”, ma crediamo anche che al giorno d’oggi siano molto più perturbanti gli orrori della psiche piuttosto che quelli prettamente legati al sovrannaturale.