Tony Leung Ka-Fai


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Attore

Abbiamo incontrato l’attore nel corso della ventisettesima edizione del Far East Film Festival 2025 (Udine). Tony Leung accompagnava il Maestro Tsui Hark nella promozione del suo nuovo film Legends of the Condor Heroes: The Gallants. Ci ha concesso un po’ del suo tempo per rispondere ad alcune nostre brevi domande. L’attore veterano ha lavorato più volte con il regista a grandi film come A Better Tomorrow III (1989), Dragon Inn (1992), Detective Dee and the Mystery of the Phantom Flame (2010). Ma ha segnato comunque il cinema di Hong Kong con titoli come Gunmen (1988), Ashes of Time (1994), Throw Down (2004), Dumplings – Three… Extremes (2004).

 

Asian Feast: Lei ha lavorato con Tsui Hark più volte attraverso i decenni. Come attore, quali sono state le più grandi sfide nel lavorare con lui? Crede che ci sia stato un cambiamento di stile nel dirigere i film tra il passato e il presente?

Tony Leung Ka Fai: Lavorare con Tsui Hark è ogni volta uno dei miei momenti più piacevoli. Lavorare con lui mi fa sentire al sicuro, mi da fiducia, mi fa sognare, mi dà la sensazione di andare nello spazio. Lui riesce a farmi ottenere una piacevole, preziosa e confortevole sensazione di soddisfazione. Riguardo il suo stile, non potrei dire nulla di negativo su di lui sebbene a volte sappia essere cattivo. Ma è uno che chiede la perfezione. Quindi, come attore, recitare nei suoi film, è come essere una vite, non uno strumento ma una vite. Il cameraman, l’addetto alle luci, gli altri sono gli strumenti del regista. Io sono soltanto una vite. Perciò provo sempre a dare il massimo e fare del mio meglio per essere una buona vite ma non un cacciavite, solo una vite.  

AF: Lei ha spesso recitato in ruoli difficili, penso a film come To Live and Die in Tsimshatsui o il frenetico The Black Panther Warriors oppure al personaggio di Hawk in The Taking of Tiger Mountain tra gli altri. Quali, secondo lei, sono stati i film più difficili in cui abbia mai recitato?

TL: No, nella mia carriera come attore non ho mai trovato alcuna difficoltà. Non è per orgoglio o niente del genere, ma l’ho fatto diventare parte della mia vita, parte delle mie vite differenti. C’è una cosa che dico sempre alle persone: le persone normali hanno solo una vita ma, dopo 67 anni e 43 nell’industria cinematografica, come attore ho vissuto qualcosa come 150 vite. Sono stato più fortunato di chiunque altro. Sì, gli altri possono avere soltanto una vita, io ne ho già avute oltre un centinaio. Questa è la mia fortuna. Ed è ciò con cui Dio mi ha benedetto.

AF: Attraverso la sua carriera, lei si è spostato da un genere all’altro: dal poliziesco alle commedie, ha persino recitato in film horror come Dumplings o in film d’arti marziali moderne come in Throwdown. Quale genere cinematografico sente sia il più naturale in cui recitare secondo lei?

TL:  Non c’è un genere più naturale per me in cui recitare e nessuno più difficile. Mi diverto ogni volta con ruoli, periodi e storie differenti. E questo è ciò che ho detto rispondendo alla seconda domanda; recitare mi fa sentire più forte e più vivo. Sono così fortunato a esser benedetto da Dio al punto di aver vissuto oltre un centinaio di vite. Questo è il perché dico di esser fortunato.

AF: In Occidente, i generi cinematografici di solito sono ben definiti mentre in altre cinematografie, persino molto diverse l’una con l’altra come Hong Kong e India, i film sono spesso un’amalgama di più di un genere. Come potrebbe spiegare questa differenza culturale con i film occidentali?

TL:  Non credo che quella sia la differenza tra la cultura occidentale e quella di Hong Kong o indiana. Penso solamente che Hong Kong e India siano più flessibili perché nella maggior parte delle produzioni occidentali, tutto funziona davvero come in una fabbrica. Sono film industrializzati, è una grossa industria, fanno piani ogni anno, lunghi tre o cinque anni per progettare quale tipo di film o diversi tipi di film produrre. C’è tanta gente che ci lavora all’interno. Ma in India e Hong Kong, non posso dire se sia per un fattore culturale o meno, ma siamo più flessibili, specialmente l’India. Non sono molti i loro film che vengono esportati in altri paesi. Soltanto al giorno d’oggi, la maggioranza di persone, grazie a internet, possono vederli. Ma loro non ne hanno bisogno, i film indiani hanno una distribuzione solamente indiana. Non devono, come quelli di Hollywood, esportarli in tutto il mondo per fare soldi e per far sopravvivere la propria industria.
Hong Kong è ancora più flessibile. Hong Kong è un posto così piccolo con moltissima gente. Possiamo fare film con grossi budget ma siamo abbastanza pratici nel farli anche senza soldi. Anche quelli senza budget in fin dei conti sono sempre film.

 

 

Le foto a corredo dell’articolo sono del Far East Film Festival. Quella sotto è del nostro redattore Marco Lone, autore dell’intervista.