Wise Guys Never Die

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Wise Guys Never DieQuando Wong Jing non sa che fare si butta nei film sui giocatori d’azzardo, l’ha sempre fatto e anche bene, incarnando la figura dell’esegeta dei “gamblers” hongkonghesi. Ogni volta la stessa formula e ogni volta rinnovandosi, contaminando con la comicità, i poteri paranormali, il melodramma, gli effetti speciali, la parodia. Reduce dal successo della trilogia di Kung-fu Mahjong il regista decide di nuovo di cambiare le carte in tavola. E stavolta dirige davvero la pietra tombale del genere e probabilmente uno dei suoi film più cupi. Non ci sono spiragli di luce in Wise Guys Never Dies. E l’elemento più colorato e solare rimane la fine cover, forse più bella anche del film stesso. Prosciugata l’ironia, scomparsa ogni spettacolarizzazione, brutalizzato l’aspetto sessuale esente da quella gioia infantile di altre pellicole, rimane un film disperato che, dopo avere raccontato il gioco d’azzardo, i rischi, i trucchi, ora mostra gli effetti letali dell’avarizia. Per farlo Wong Jing si (ri)mette in gioco totalmente, scrive, produce, dirige (con l’ausilio associato di Bosco Lam) e interpreta uno dei due protagonisti con risultati decisamente alti e convincenti, abbandonandosi a numerose sequenze –seppur graficamente pudiche- di sesso torrido.

Nick finisce in prigione con l’accusa di avere fatto “sparire” dieci milioni di dollari. Il luogo sembra infernale quanto la “Prison on Fire” di Ringo Lam e il nostro, timido e impacciato, subisce le angherie degli altri galeotti, stupri, violenze finchè non entrerà nelle grazie di Teddy (Wong Jing), prigioniero rispettato per il fatto di essere abile nel prevedere gli esiti delle corse dei cavalli. Usciti di prigione i due decideranno di diventare partner e vendicarsi di un gangster che aveva mandato in prigione Teddy, Dragon, sbancandogli il proprio casinò. Ma anche stavolta nulla è ciò che sembra, con due esiti però; da un lato lo spettatore intuisce e prevede che c’è qualcosa che non va e che il regista gli sta pianificando qualche colpo di scena, ma al contempo non riesce a razionalizzare bene quale esso sarà. Wong Jing riesce però a fare anche un’altra cosa che mai aveva fatto prima: annoiare. Purtroppo la regia (vistosamente più di Bosco Lam che di Wong Jing che è sempre davanti la macchina da presa anziché dietro) è anonima e spinge il film sovente verso la noia. E dire che i primi venti minuti sono davvero ottimi e coinvolgenti, poi il film si ingolfa fino alle risoluzioni finali che comunque restano addosso allo spettatore.

Nick Cheung ritorna alle sue origini, già a fianco di Wong Jing e già in film sui giocatori d’azzardo come The Tricky Master e The Conman, e in un attimo sembra essersi dissolta tutta la magia materializzatasi negli ultimi film di Johnnie To (Exiled, Breaking News, Election, Election 2) anche se bisogna ammettere che funziona bene sia nei momenti più impacciati che in quelli più tesi.
Rimane un po’ di amaro in bocca per tutta la parte centrale del film che sembra non andare da nessuna parte (e infatti non ci va) e che penalizza un film in parte decisamente riuscito. Wong Jing è sempre stato un pò il riflesso dello stato di salute del cinema di Hong Kong, preciso riflesso degli stili, umori, mode, filoni e anche questo film non fa che incarnare in parte lo status quo del cinema dell’ex colonia inglese.