Wonder Seven

Voto dell'autore: 4/5

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Wonder 7No, il film non c’è assolutamente ma c’è in toto un’idea unica e irripetibile di cinema di cui Ching Siu-tung è unico custode e ermeneuta. Non ci sono mezze vie o compromessi. Siamo in piena fine del cinema di Hong Kong post new wave e in uno dei suoi momenti più estremi. Prendere o lasciare. Inutili le analisi di sceneggiatura o studi dei caratteri, delle successioni narrative, della fluidità dei raccordi, di ogni ricerca di razionalizzazione (tutte figlie di un metodo occidentale, parziale e discutibile, basato sulle ricerche del cinema di solo mezzo mondo). Nulla, l’unico studio eventualmente da fare è quello della progressione di un metodo, del suo riflesso su una realtà urbana e magari si possono notare in modo più evidente del solito le differenze stilistiche tra due scuole di coreografi, quella del regista del film e quella di Yuen Woo-ping (Once Upon a time in China IIKill Bill). Paradossalmente, nonostante il film non abbia incassato più di tanto, va obbligatoriamente rapportato ad un film del rivale Yuen Woo-ping dell’anno successivo, tale The Red Wolf. Contenutisticamente simile l’ambientazione (qui un grattacielo, là una nave da crociera) e una sequenza praticamente plagiata; è quella in cui il villain aspetta l’assalto dei buoni suonando la batteria.

Ma le coreografie di Ching Siu-tung (e del suo numeroso staff, tra cui Xion Xin-xin, il cattivo di The Blade, qui anche attore) sono uniche e diversissime. Affondate in un evidente film povero, ottimizzano ogni HK$ ai fini della meraviglia; ma la meraviglia di Ching Siu-tung non è mai fine a sé stessa (se questo enunciato può avere senso), non è l’evento in sé, o la sua dinamica, ma soprattutto il metodo della sua creazione e proposizione. Il regista e coreografo gioca sempre per indizi, raggiunge una fisicità assordante e una spettacolarizzazione nonostante –in questo film più che in altri- nel set non accada quasi nulla di quello che alla fine vediamo, composto dalla giustapposizione delle varie inquadrature. Ching Siu-tung, bara e utilizza come un maestro i mezzi cinematografici; con i ralenti, non solo crea reazione emotiva, ma effetto narrativo e dinamico, i suoi ralenti spesso creano impatto e movimento. Vediamo inizi e fini, azioni e reazioni, ma mai il processo centrale totalmente inventato ed evocato dalla percezione dello spettatore. “Scoperto l’acqua calda” diranno molti, questo è il segreto stesso della formula del montaggio filmico, ma qui si va oltre e non è sempre così immediato lavorare con queste modalità in un cinema sempre più prossimo alla linearità ed esplicitazione totale. E questo film è come una partita a tennis contro un muro, giocata da soli, ogni evento sembra a senso unico, c’è reazione e azione ma sembrano sempre separate e unidirezionali. Negli scontri marziali raramente c’è il “classico attacco alla Yuen Woo-ping” con la partenza dei due mostrata con due inquadrature personali dei personaggi che corrono verso il fuori campo l’uno –nel piano direzionale- verso l’altro. Qui no. Due mani in un’unica inquadratura afferrano delle lame infilzate nel terreno. Stacco. La seguente inquadratura mostra i due combattenti già nel mezzo del furore della lotta.

Inutile l’avvicinarvisi per chi cerca una storia coinvolgente e dei personaggi indimenticabili. Il film è altro, e talvolta nel proprio furore compositivo sfiora la poesia, come nella sequenza in cui il drago della omonima cerimonia ancorato tramite un wirework ad una gru inizia a volteggiare nel cielo sullo sfondo dei grattacieli come il draghello di Nazha, mentre due combattenti ci lottano sopra stagliandosi contro il cielo.
O tutto l’intro in cui i 7 combattono un gruppo di rapinatori mainlander; kung fu con/sul-le moto, Kent Cheng che attacca a colpi di mortadella, Hilary Tsui che lancia frecce usando un ehru (strumento musicale cinese a corde) come arco.
Un funerale assolutamente stupendo e personale, raramente si vedono funerali d’onore così personali (come la cremazione automobilistica di Final Justice); qui l’eroe caduto viene fissato sulla sua moto, lanciato da un burrone e fatto deflagrare in volo.
E infine lo straordinario finale così roboante che si potrebbe trovare solo in un film di Wong Jing o di Nam Nai-choi. Ma con questo stile solo da Ching Siu-tung. Un’ enorme sequenza d’azione nel grattacielo tra motociclisti, decine di uomini armati, un duello in bilico nel vuoto appesi ad un carrellino dei lavavetri, e dopo un duello uomo contro elicottero (!!!) lo straordinario climax in cui la cabina dell’ascensore in caduta libera con dentro il protagonista grazie all’esplosione di una granata viene sparata verso l’alto oltre il tetto per conficcarsi contro l’elicottero del cattivo in fuga. Incredibile a dirsi, ancora di più a vedersi. Guardando il thailandese 7 Pra Cha Ban non può che venire in mente, anche in alcuni eccessi, Wonder 7.

La trama per chi comunque vuole sapere. Chat Kam Gong (che è anche il titolo originale) è il nome di una squadra di 7 motociclisti che combattono il crimine e che stavolta se la devono vedere contro dei super cattivi cinici e arrivisti. Uno dei 7 si innamora della ragazza del villain (Michelle Yeoh), uno di loro muore e le pedine restanti si riuniscono per il finale coi botti nel già citato grattacielo. Segue un assolo di tecnica e inventiva senza pari.

Un film non coinvolgente narrativamente, ma da vedere per gratificare occhi e cervello, ideale per addetti ai lavori e appassionati di linguaggio e tecnica.
E per vedere il regista di A Chinese Ghost Story alle prese con un’ambientazione urbana e una storia pretestuosa.