World Apartment Horror

Voto dell'autore: 2/5

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worldapartmenthorrorASIANFEASTWorld Apartment Horror è un piccolo evento; si tratta infatti di una regia dal vivo, con attori in carne ed ossa, di Katsuhiro Otomo, noto ai più come il creatore dei capolavori d’animazione Akira e Steamboy. Il valore aggiunto è rappresentato dal fatto che il film è tratto da un fumetto ideato dallo stesso Otomo e da un altro grande dell’animazione contemporanea, Satoshi Kon, genio regista di film animati del calibro di Perfect Blue, Millennium Actress, Tokyo Godfathers, Paprika e della serie surreale Paranoia Agent. Il fumetto omonimo è stato pubblicato anche in Italia nel 1996 sul periodico Kappa Magazine in quattro episodi (dal numero 43 al 46 della rivista).
Ma purtroppo, tanto era illuminante e leggero all’interno della propria complessità il manga, tanto è pesante e poco intrigante il film. Probabilmente uno dei motivi è da attribuire all’assenza di un budget adeguato che ha imposto l’eliminazione di praticamente tutti gli effetti speciali che sarebbero necessitati soprattutto per la messa in scena dell’apocalittica sequenza finale. Ma anche la regia –e questo è più grave- non spicca per originalità e vitalità, anzi, si tramuta in un susseguirsi pesante di inquadrature perfettamente pesate ma assolutamente a-ritmiche. Ci troviamo quindi anni luce dalla maestosità dei prodotti animati del maestro che sembra stentare a trovare nel cinema live una valida alternativa al suo universo grafico e/o animato come hanno fatto altri suoi colleghi (uno su tutti, Mamoru Oshii). Il montaggio penalizza il film, trattiene la lunghezza delle inquadrature oltre i limiti di guardia strabordando l’importanza primaria di contenuto di ognuna e trattenendola per troppo tempo. Il risultato finale è un film piccolissimo, a volte un po’ goffo e vistosamente povero. La narrazione segue in modo fedele quella del fumetto eliminando, come già segnalato, ogni sequenza con gli effetti speciali, il che non può che impoverirne lo spessore che va a privare il film di tutta la suggestione infernale del finale originariamente molto intenso

Lo sgherro di un capo yakuza, possessore di un bordello, viene inviato in uno strano palazzo fatiscente per cercare un altro collega da tempo scomparso. Riuscirà a trovarlo ma quello dimostrerà di aver perso totalmente il senno, inspiegabilmente; prima giungerà in ufficio devastandolo, poi ruberà una antichissima spada da un museo per poi scomparire. E’ così che il boss affida al ragazzo la missione precedentemente data al suo collega: cacciare discretamente gli inquilini del palazzo entro una settimana, dopodiché il posto, dovrà essere abbattuto per un successivo progetto edilizio. Il palazzo è nel tempo diventato rifugio di un nucleo di immigrati di diversa nazionalità; taiwanesi, cinesi, filippini, pakistani, immigrati illegali, che hanno costituito un locus amoenus in cui vivere nella totale quiete e rispetto degli altri. Solo i giapponesi che vivevano al piano inferiore se ne sono andati, spaventati dalla presenza di un fantomatico “fantasma”. Lo yakuza si stabilisce in loco e inizia a sollecitare gli inquilini prima verbalmente poi a colpi di stereo e karaoke, successivamente utilizzando fumogeni per la disinfestazione, fuoco e alla fine una motosega. Inaspettatamente quieta e educata è ogni volta la reazione degli stessi che comunque accettano l’uomo come parte di loro mentre invece la sua salute mentale inizia a vacillare. Bisognerà chiamare un esorcista per cacciare una maledizione che sta rendendo il luogo l’anticamera dell’inferno.

In un fattore il film è assai vicino al manga ossia nella secondarietà  della componente horror nei confronti di quella sociale. L’interesse sembra essere focalizzato sulla quiete e sulla rottura di tutti i pregiudizi e sulla interrazzialità nipponica. In una bella sequenza, assente nel fumetto, tutti gli inquilini devono pregare per scacciare lo spirito maligno ma non conoscendo i canti pakistani (l’esorcista è pakistano) iniziano a pregare ognuno nella propria lingua. E in un’altra viene enunciato “il diavolo non ha nazionalità”. Il carattere sociale dell’opera è saldo e interessante e mai attuale come ora. Un altro dei motivi per vedere il film è anche quello di vedere all’azione un noto attore prima del suo esordio alla regia. Infatti il protagonista del film è interpretato, con credibile partecipazione, da Hiroki Tanaka noto al mondo con il nickname di Sabu (Postman BluesUnlucky Monkey, Monday, Drive).
Purtroppo il film resta però un’opera assolutamente minore del regista.