The Perfect Killers

Voto dell'autore: 3/5

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The Perfect KillersEnnesima action-comedy votata all’eccesso, The Perfect Killers riunisce al suo interno tutti quelli che sono ormai diventati gli ingredienti fondamentali dell’ultimissima ondata cinematografica thailandese. Tutto ciò che s’è visto nei film di Sippapak (e qui il riferimento principale è senz’altro il ben più riuscito Killer Tattoo) e di Mum Jokmok (con il suo folle The Bodyguard) viene qui ripreso e riproposto in copia carbone ad un pubblico sempre meno smaliziato. Azione, comicità grossolana e volgare, un pizzico di melodramma. Tutto viene gettato in un enorme calderone e mescolato per bene così da dar luogo ad un altro rappresentante di una serie di prodotti che sembrano realizzati con lo stampino. Eppure il talento e la voglia di stupire ci sono sempre e The Perfect Killers non fa certo eccezione. Kiab e Song sono due famosi e spietati killer: il primo è entrato nella leggenda per aver sterminato un’intera potente gang criminale, il secondo vive nella disperazione e nel rimorso per la morte dei suoi familiari. I due si conoscono in prigione e alla loro uscita rientrano subito in attività. Quando Song riceve l’ordine di uccidere un grosso capo della mala, però, viene steso da un gruppo di rivali e costretto al letto di un ospedale, lasciando tutto il lavoro sulle spalle di Kiab che sotto sotto non è il mito che tutti credono essere... Il manuale viene seguito come di consueto senza dare molto spazio alla fantasia - colori brillanti, flashback e continui rimandi a situazioni grottesche in puro stile Guy Ritchie, personaggi introdotti da fermo immagini con tanto di nomi in sovrimpressione - ma certi passaggi vanno descritti assolutamente per rendere al meglio la totale avulsità dell’opera ai classici canoni prestabiliti: il lato sentimentale della vicenda, ad esempio, è costituito dalla sottotrama di Kiab e del suo piccolo figlio di quattro anni che non aveva mai visto prima a causa del tempo trascorso in carcere. Per una curiosa coincidenza il piccolo parla solo in inglese (ha studiato in una “scuola internazionale”) e sarà costretto a farsi capire a gesti dal padre che non conosce la sua lingua, il tutto mentre la moglie convive con nonchalance insieme alla sua nuova compagna lesbica. Il fatto che tutto ciò sia stato inserito come semplice parentesi in un film che guarda in ben altre direzioni lascia basiti, specialmente per i cambi di registro tra la comicità nonsense e l’imbarazzo che si prova ad immedesimarsi nel protagonista, costretto a tornare dalla prigione alla sua vecchia vita insieme ad una moglie che non lo ama e ad un figlio che non lo capisce. Temi come l’incomunicabilità nei rapporti e la piattezza della quotidianità vengono affrontati con una leggerezza da non crederci, non senza sensibilità e con una naturalezza che sembra avere dell’inconsapevole. Il resto del film, però, è prassi totale: tra una battuta a sfondo scatologico e un’altra (ebbene si, anche se la cosa potrebbe far sorridere l’umorismo su peti ed escrementi è una delle costanti invariabili del cinema thai) si giunge alle immancabili scene d’azione stilizzatissime ed esagerate, accompagnate da una colonna sonora rockeggiante e da una fotografia satura e contrastata che evidenzia ancora di più la “cartooneria” di certe sequenze: insomma, nulla di nuovo sul fronte thailandese.

The Perfect Killers risulta così essere l’ennesima occasione sprecata di un cinema che spesso tende all’autofagocitazione ed alla serializzazione tematica e stilistica. Un film che rimescola e ripropone un mare di elementi già visti e che rende ancora più fastidioso lo spreco di forze e di talenti di una cinematografia dall’immenso potenziale. Un fastidio accentuato ulteriormente dalla raggiunta consapevolezza della maggior parte dei registi e degli sceneggiatori, che anche in questo caso si divertono a punzecchiare metacinematograficamente i loro colleghi citando tutto e tutti senza il minimo ritegno. Il top si raggiunge alla fine del film, quando un personaggio racconta ad un amico la trama di una sceneggiatura che ha in mente di realizzare: “la storia di un killer in cerca di una vendetta nei confronti di un misterioso uomo tatuato”. E quando l’altro gli risponde che il film esiste già (ovviamente si parla del sopracitato Killer Tattoo di Yuthlert Sippapak), ribatte dicendo “ah, si, il primo film di quel famoso regista di bassa statura”. Un dialogo emblematico che vale più di mille altre considerazioni.