The Bodyguard

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The BodyguardEsordio alla regia di Petchtai Wongkamlao, conosciuto anche con il nome di Mum Jokmok, The Bodyguard è un vero e proprio manifesto all’anarchica follia che contraddistingue la new wave del cinema thai. Un film che, senza regole apparenti, ingloba l’immaginario collettivo di una moltitudine di culture – cinematografiche e non – e lo risputa fuori ricolorandolo con un velo di irresistibile demenzialità, sfruttando una comicità sboccata, volgare, e spesso così tipicamente popolare da risultare incomprensibile ai più (ma non per questo poco divertente). La trama? Quanto di più ridotto all’osso si sia mai visto: una guardia del corpo vede il suo cliente morire sotto i colpi di un gruppo di pericolosi criminali e decide di vendicarsi sgominandoli a modo suo. Nel frattempo Chai, il figlio del defunto, viene illegittimamente diseredato e dato anch’esso per morto quando invece decide di fuggire trasferendosi nel quartiere povero della città. Tradimenti, intrighi e sentimenti verranno poi gettati nella mischia alla rinfusa...

Si può dire che i primi dieci minuti di The Bodyguard siano un perfetto biglietto da visita per il cinema di Jokmok: una lunga sparatoria infarcita di gag di ogni tipo, che si protrae dalla hall di un albergo fino ad un grande piazzale dove quattro auto si scontrano in volo generando un’esplosione a mezz’aria. Totalmente senza freno, l’umorismo ed il gusto per l’eccesso di Jokmok trasudano da ogni fotogramma. Purtroppo il film procede con una parte centrale decisamente debole che segue la storia del fuggitivo rampollo Chai e della sua nuova vita nei quartieri poveri, dove conosce la giovane infermiera Pok: il tentativo di offrire una sottotrama a sfondo sentimentale è quantomeno lodevole, ma lo sviluppo non è dei migliori e le scene che vedono protagonisti i due innamorati sono decisamente sottotono rispetto al resto del film. Nel riportare i ritmi del film a quelli dell’esplosivo incipit ci pensa la mezz’ora finale, che rappresenta fondamentalmente il cuore dell’opera ed è costituita senza troppi giri di parole da un unico, lunghissimo montaggio di scene d’azione (arti marziali prima, pistole e proiettili dopo): Jokmok non si risparmia, prendendo bellamente in giro la thaiboxe - uno degli sport più popolari in patria - ed il kung fu, in un combattimento contro uno scagnozzo cinese che entra in scena sulle note di un folgorante remix della “General’s Theme” resa famosa dai film honkonghesi su Wong Fei-Hung. Nemmeno i nani e i ritardati vengono risparmiati dalla follia dissacrante del comico, che si diverte a prendere in giro tutto e tutti, senza vergognarsi nel portare su schermo ogni tipo di freak (non mancano neppure, come da tradizione, le classiche battute su gay e travestiti). Un umorismo tanto scomodo quanto irresistibile, a patto di stare al gioco e di non prendersi troppo sul serio, che rende bene l’idea di quale possa essere la varietà e l’apertura mentale del popolo thailandese. La nomea di manifesto che il film di Jokmok si porta sulle spalle è ancor più rafforzata dall’ingente numero di camei e comparsate ad opera dei più famosi caratteristi e personaggi dello spettacolo della TV thailandese: c’è praticamente chiunque, da Nhong Chachacha a Sayan Meungjarern, compreso Tony Jaa che si esibisce persino in una breve scena di lotta con tanto di battuta metacinematografica finale. E tra gli innumerevoli nomi importanti va segnalato anche Panna Rittikrai, coreografo oramai di fama internazionale (tra i suoi lavori ci sono successi come Ong Bak, Born to Fight e Tom Yum Goong) impegnato ovviamente nella direzione degli ottimi combattimenti.

The Bodyguard si presenta dunque come un film tanto discontinuo quanto scomodo da giudicare, un’opera talmente esplosiva e priva di qualsivoglia contegno che non si può considerare utilizzando vie di mezzo: così come il cinema thai nella sua interezza, o lo si ama o lo si odia. Petchtai Wongkamlao resta senza alcun dubbio una personalità da non perdere di vista e questo suo esordio dietro alla macchina da presa farà impazzire gli amanti del cinema più sciocco e disimpegnato (non necessariamente in senso negativo, sia chiaro) ma anche di quello più ingenuamente anarchico e divertente. Tutti gli altri, invece, sono invitati ad evitarlo o, in alternativa, a spegnere il cervello per un’ora e mezza circa.