A Writer’s Odyssey

Voto dell'autore: 4/5

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Lu Yang è uno di quei nomi di registi cinesi (ma non solo, anche genericamente di registi contemporanei) che seguiamo con un certo interesse. Di anno in anno è riuscito a costruire una sua identità che si riflette in film diretti con un’assoluto e perfetto mestiere. Il dittico dei due Brotherhood of Blades mostra una visione del wuxia personale, competente, moderna, competitiva e estremamente efficace e intensa.

Fatti i debiti paragoni un personaggio del genere, onestissimo, competente, mestierante, può ricordare più di che un Renny Harlin forse un regista come il finlandese/americano John McTiernan nell’affrontare il genere con il piglio di mestiere nobile ma senza autorialità esplicita.

Quello che ad oggi gli era mancato era l’anima, il guizzo, capace di dare calore alla narrazione e di donare una certa empatia e coinvolgimento all’opera narrata. Stesso identico problema che troviamo anche in questo A Writer’s Odyssey, prodotto dal regista Ning Hao, uno dei nomi di maggior successo nel cinema contemporaneo cinese (suo il grande successo Crazy Alien). A Writer’s Odyssey è un’opera ambiziosa e estremamente complessa, un oggetto difficoltoso che necessita di sicure competenze e abilità per essere portato a termine (noti sono infatti i lunghi tempi di post produzione per chiuderlo).

In questo caso la narrazione si fa più spiccata e crea un progetto estremamente articolato e dal racconto frantumato, scomposto, che fatti i debiti paragoni può ricordare i film più “visionari” di Nolan. A Writer’s Odyssey infatti si muove su due piani; uno, quello del presente urbano, e l’altro quello della fantasia e della narrazione di uno scrittore; piano che è quindi costellato da una sarabanda di visioni immaginifiche date in pasto a degli ottimi effetti digitali. Il regista è capace di giostrarli al meglio da vero e proprio veterano non puntando solo sull’accumulo ma con una capacità registica assolutamente sopra la media sempre attenta -come spesso accade nel resto del cinema cinese contemporaneo- ad un gusto per l’immagine pittorica e ricercata.

La cosa curiosa è che il film riesce ad avere una continuità stilistica visiva anche nelle sequenze urbane prive di costruzioni digitali degli ambienti, grazie allo sfruttamento di contesti architettonici e location oggettivamente straordinarie tipiche del noir
d’autore contemporaneo locale.

E a Lu Yang manca solo questo, il calore. Un’anima, una maggiore empatia con lo spettatore, la capacità di rendere più umane le vicende, renderle intime e vicine alla sensibilità di chi sta guardando il film. Raggiunto questo risultato riuscirà finalmente a girare un film estremamente memorabile se riesce a mantenersi sui livelli strutturali delle sue precedenti opere.

D’altronde durante i primi 20 minuti abbondanti in cui non é ancora chiaro l’intreccio e la sceneggiatura lavora sull’esplorazione e sul mistero, il film viaggia su binari inaspettatamente competenti.

Per adesso A Writer’s Odyssey si rivela un ottimo blockbuster di genere,  onestissimo, competente, di altissima qualità e dotato di idee e visioni davvero rare nel cinema contemporaneo. Alcune sequenze rimangono nella mente e nel cuore dello spettatore e hanno un odore di verginità, di innovazione e di una nuova via del cinema fortunatamente ancora fertile e che si sta sviluppando di titolo in titolo nella Cina del presente,  ormai centro nevralgico del cinema mondiale.

Tratto liberamente da un romanzo, il film è stato una durissima prova di forza per il regista durata cinque anni (in Cina girano foto dei suoi capelli diventati totalmente bianchi durante due anni di produzione) e che ha portato ad un nuovo livello di sviluppo l’effettistica cinese, con effetti realizzati da una troupe fidata e totalmente locale senza aiuto di aziende hollywoodiane.

Il film è uscito durante il capodanno cinese 2021 e si è subito piazzato al terzo posto negli incassi al botteghino (dopo Detective Chinatown 3 e Hi, Mom) incassando comunque 150 milioni di euro a fine filiera.