Oltre la vendetta - Il cinema di Park Chan-Wook


Il cinema di Park Chan-wookL’amico e collega Michelangelo Pasini, collaboratore storico di Asian Feast e fondatore del sito parkchanwook.org ha finalmente scritto un intero libro sul regista, edito dalle Edizioni Il Foglio. Con una certa curiosità ci siamo avvicinati al volume notando subito, oltre ad una buona finezza delle grafiche, un particolare e riuscito formato pocket.

E’ forse a fine lettura che diviene significativo il titolo principale (e velatamente polemico) del libro che non è un classico “Park Chan-wook” come sarebbe normale per una sorta di testo monografico, ma un più esplicito “Oltre la Vendetta”, sorta di dichiarazione di intenti nell’approccio alla materia. Il secondo elemento ad essere evidenziato, anche sulla copertina, è la presenza di una prefazione ad opera del critico Darcy Paquet (creatore di koreanfilm.org e referente per la Corea del Sud del Far East Film Festival di Udine).

Duecentotrenta sono le pagine che Michelangelo si prende per analizzare l’opera dell’autore sudcoreano e i suoi –ad oggi- nove film (più una manciata di corti e collaborazioni sotto altre mansioni). L’utilizzo delle pagine è ottimo, ogni singola parola non si perde mai in vaghi allungamenti di brodo ma forniscono informazioni precise e motivate. Intelligentemente l’autore apre il testo con un capitolo storico sulla Corea, indispensabile per contestualizzare adeguatamente il resto. Dopodichè lo stesso viene sezionato in blocchi; tre per sviscerare l’opera registica relativa ad ogni singolo titolo e tre per analizzarne altrettante tematiche circoscritte e intrinseche al percorso. In coda la classica filmografia e bibliografia.

I blocchi relativi ai film sono divisi tra titoli dei primi anni di carriera, trilogia della vendetta e i due film successivi (I’m a Cyborg e Thirst).

Va ammesso che Pasini opta per uno stile di analisi approfondito ma non maniacale, fornendo informazioni utili per chi conosce poco o per niente l’autore e tasselli completi o anche semplici stimoli di pensiero per chi ha già visto e studiato l’opera di Park. Si muove leggero tra temi e tecnica, senza scendere in complesse sezioni di decoupage tecnico ma toccando precise zone di analisi e approfondisce temi e contenuti ben delineati che forniscono una visione di insieme mediamente completa. Perché abbia scelto determinati temi ci verrà segnalato nelle risposte alle domande che abbiamo posto a Pasini pubblicate sotto questa recensione.

Lo scritto, nel suo insieme, oltre a sondare tenta, riuscendoci, a farsi largo tra i mille stereotipi e i limiti di interpretazione cui troppo spesso il cinema asiatico deve sottostare e che hanno spesso penalizzato la filmografia del regista, la cui essenza sembra essere ridotta ad un solo blocco narrativo incarnato nella presunta trilogia della vendetta. Quindi oltre alle parole preziose sui poco noti film di esordio, Pasini si sofferma a sondare gli ultimi due titoli (ad oggi) che, difficili e parzialmente inaspettati, sono stati spesso snobbati da pubblico e critica con una colpevolezza forse non così lieve.

Il tutto riuscendo a restituire in parte anche l’aroma generale del nuovo cinema coreano esploso a fine anni ’90. Se il testo può avere un limite è quello proprio di questa collana editoriale ovvero la qualità non eccelsa dell’utile apparato iconografico, in questo caso degli screenshot in bianco e nero dei film scelti dall’autore per meglio evidenziare le argomentazioni testuali.

Alcune domande all’autore.

Asian Feast: Come e perché ha scelto quel preciso numero di argomenti tematici da approfondire e non altri o di più?

Michelangelo Pasini: Il libro getta uno sguardo su Park Chan-wook come autore nell'accezione più "classica" del termine, tuttavia non credo che un regista come lui si debba studiare solo attraverso questo tipo di elementi e che quindi per analizzarne l'approccio sia necessario scomporre in elementi ricorrenti la sua filmografia. Per questo mi è parso interessante trattare tematiche trasversali a tutte le sue pellicole in relazione al contesto in cui queste nascono e vengono recepite. Ho ritenuto quindi obbligatorio puntualizzare il tema della violenza, vero nodo su cui la critica si è concentrata nel corso della sua analisi sul cinema di Park. Ho poi creduto che famiglia e politica fossero i due elementi che più legavano il regista alla situazione sociale e storica che la Corea del Sud ha vissuto e sta vivendo tutt'ora. Il cinema di Park si relaziona quotidianamente con il presente, questo mi interessa, non studiare quanto una carrellata può essere simile ad un'altra.

AF: Come si è posizionato di fronte all’opera del regista nel momento di creare un indice programmatico del testo, che scelte ha optato?

MP: Primo punto con cui mi sono confrontato: che tipo di pubblico ha il cinema di Park. Poi, quasi una conseguenza, tra questi spettatori quali potrebbero essere interessati al libro? Di qui la decisione di stare a metà tra il tecnico e il divulgativo. E ancora: l'esperto o l'appassionato di cinema, meglio ancora, di cinema orientale, quanto realmente conosce della Corea del Sud dal punto di vista socio-politico? Non troppo, sicuramente accenni storici, ma la stretta relazione che esiste tra storia del paese e industria cinematografica penso sia aliena ai più. Quanto incide questo legame sul cinema di Park e sulla sua evoluzione? Enormemente. Ecco trovata la scaletta, anzi l'ossatura. Poi, capitolo per capitolo ho tracciato uno schema abbastanza preciso e di lì in poi il libro era già scritto.

AF: A volte tocca temi, a volte accenna degli approfondimenti specificatamente tecnici ma decide di non insistere eccessivamente in quella zona. Ci sono particolari freni o scelte dietro questi atteggiamenti?

MP: Si, ci sono freni, decisioni che mi sono autoimposto. Divoro libri di cinema da molti anni ma davvero poche volte ho apprezzato fino in fondo un testo eccessivamente tecnico e teorico. O meglio, ho sempre fatto fatica a leggerlo dalla prima all'ultima pagina. Un libro del genere può essere utilissimo ed interessante, per non dire indispensabile, se scritto su un regista storicizzato, di cui si è scritto tanto e che deve essere approfondito. Un cineasta come Park necessitava di una prima parola, che non poteva per forze di cose essere diversa. E' il classico e banale discorso: non si può iniziare a costruire una casa dal tetto.

AF: Qualche –senza falsa modestia- pregio particolare dell’opera e qualche rimpianto?

MP: Sarò sincero, il libro funziona a mio parere. La tesi di fondo, quel bilanciamento che ho ritrovato in tutto il cinema di Park mi spaventava inizialmente. Mi sembrava un po' troppo audace come posizione. Ma andando avanti con lo studio mi è sembrata l'unica strada percorribile, l'unico percorso che ad oggi rende il cinema del regista davvero unico.

AF: Perché dedicare così tante pagine ad un contesto storico ad inizio libro?

MP: Perché, come detto prima, il cinema di Park è legato a doppio, triplo filo all'evoluzione storica, sociale e politica della Corea del Sud. Capita la storia del paese, compreso il legame che il cinema ha con essa, il lavoro da fare era solo quello di sottolineare un aspetto piuttosto che un altro.

Rimpianti: avrei voluto scrivere molto di piu, approfondire molte piu cose, arrivare davvero a fare un libro completo sotto ogni punto di vista. Ma l'approccio scelto è stato un altro...

AF: Domanda molto personale; secondo lei verso che direzione sta andando il cinema di Park Chan-wook?

MP: Sta andando dove molti altri non vanno. Non parlo di originalità, non è quello che importa a mio parere. Ma di libertà. Quella di fare un film sui vampiri con tempi assurdi, personalissimi, per esempio. Credo che il suo cinema possa restare ad altissimi livelli solo a patto di mantenere questa libertà. Il che non significa rottura degli schemi, ma piuttosto forza di dire ancora qualcosa e farlo in modo personale e soprattutto di farlo in modo politico, nell'accezione più sociale e meno partitica del termine. Il cinema di Park potrebbe perdere mordente solo in un mondo perfetto. Il suo sguardo diventerebbe inutile.

AF: Altre considerazioni libere sull’opera?

MP: Più che altro una promessa che vorrei fare a me stesso. Scrivere, prima o poi un altro libro su Park, quando la letteratura in merito sarà molto più ampia. Apprezzare, scontrarsi, confrontarsi con altri pareri scritti sul cinema del regista coreano mi è mancato (in tutto il mondo le monografie a lui dedicate sono davvero pochissime). Fra qualche anno spero di poter tornare sull'argomento, ma non prima di aver letto altri punti di vista. E' in quel momento che finalmente potrò capire se realmente il mio libro funziona o meno.