23° Far East Film Festival


(24 giugno - 2 luglio 2021)

Dopo l'edizione “virtuale” del 2020, limitata per problematiche dovute alla pandemia Covid, quella del 2021 è stata “ibrida”. Con limiti e cambiamenti ma comunque, oltre che on line, anche in sala; certo, senza ospiti, con tutti i disagi dovuti alla continuità di utilizzo dei dispositivi di sicurezza e senza la disponibilità del maestoso Teatro Nuovo Giovanni da Udine.

Per l'occasione, la ventitreesima edizione del Far East Film Festival ha traslocato in toto in due edifici (per un totale di cinque schermi), il Cinema Centrale e il nuovissimo multisala Visionario; quest'ultimo era già stato utilizzato in passato per retrospettive e repliche ma il Visionario 2021 è una (multi)sala nuova, restaurata, accogliente e appena inaugurata.

“Fuori”, tra una pioggia e l'altra anche una apprezzata “arena” all'aperto con contorno di banchettini per cibo e bevute “di prima necessità”. Nonostante tutto, il Festival ha garantito anche il mercatino asiatico e alcuni eventi e concerti itineranti. In fin dei conti, a livello logistico e di organizzazione ci siamo trovati di fronte ad un'edizione totalmente promossa; la prenotazione on line non ha penalizzato le visioni e le file erano gestibili, probabilmente anche a causa di una parzialmente ridotta partecipazione da parte del pubblico internazionale, sempre dovuta alla già citata emergenza sanitaria.

Ma è nel programma che l'edizione 2021 ci ha fortemente sorpreso. Dopo i primi giorni, quasi era ironico il trovare così tanti film accomunati da contenuti narrativi e umori così impopolari e “autoriali”. E invece questo “concept” è proseguito fino alla fine. Proprio l'anno precedente ci lamentavamo degli eccessi di retorica sociale e quest'anno, non capiamo quanto consapevolmente, il Festival ha deciso di colpire forte lo spettatore. E l'ha fatto con un corpus di film straordinari, che di riflesso riuscivano a nobilizzare l'intero palinsesto; perché così le classiche “scartine” (che sempre ci sono e sempre ci saranno, giustamente) venivano compensate e meglio “sopportate”, e il numero inferiore di film tipici storicamente in vetrina al Festival, soprattutto le commedie agrodolci, proposte in numero inferiore, venivano meglio apprezzate e anche valutate più approfonditamente dagli spettatori, prendendosi il giusto tempo e attenzione. Tant'è che quasi tutte hanno portato a casa dei premi.

La parte ampiamente maggioritaria del palinsesto era quindi occupata da film che avevano come temi narrativi comuni la morte, il lutto, vicende di anziani, la povertà, la bramosia di denaro, la malattia, l'abuso, le dipendenze e non presentavano redenzione per specifiche figure o classi; chiunque ne usciva sconfitto, sgradito, perdente. Il più delle volte i temi erano trattati con poca retorica e un discreto polso, ed elementi più o meno perturbanti riuscivano ad insinuarsi anche nei film più solari. Abbiamo quindi trovato il palinsesto del 2021 come uno dei più entusiasmanti della lunga storia del Festival; ci ha regalato un Festival intenso, commovente, intimo, profondamente emotivo, di maggiore qualità e più sorprendente.

Le uniche eccezioni erano rappresentate da un buon numero di titoli relativi alle arti marziali con prevalenza sul pugilato. E -storicamente- i film su questo tema sono maggioritariamente brutti.

L'apertura era data in pasto a due blockbuster cinesi attesissimi, The Eight Hundred (800 Eroi) in contemporanea con l'uscita nelle sale italiane e il nuovo film di Zhang Yimou, Cliff Walkers, non particolarmente interessante, mentre per la chiusura ci si è giocati la carta della copia restaurata dell'ormai classico, anche se non così “antico”, Infernal Affairs.

Oltre al palinsesto base, che vedremo tra poco, si faceva notare l'innovativa presenza inedita del cinema del Myanmar e un film Hongkonghese a produzione maggioritaria e contesto scenografico di Macau, Madalena. 

Presente una mini retrospettiva su un regista coreano che non reputiamo particolarmente stimolante (anzi, tutt'altro), ovvero Yoon Jong-bin, con quattro titoli.

Esponenzialmente più interessante invece quella sulla superstar filippina Eddie Garcia con altri quattro film e un corto, che ha regalato alcune delle visioni migliori dell'intero Festival tra cui il nostro apprezzatissimo Bwakaw.

Ampio spazio ai documentari con 6 titoli su cui faceva buona mostra di sé l'interessante Life in 24 Frames a Second.

Tre film restaurati tra cui il già citato Infernal Affairs, l'interessante kammerspiele taiwanese carcerario in costume Execution in Autumn (il cui regista è poi defunto pochi mesi dopo la proiezione) e il buffo horror coreano Suddenly in Dark Night, una esplicita versione locale di uno degli episodi dello statunitense Trilogia del Terrore.

Passiamo ora alla rappresentanza in palinsesto del singolo paese. 

Non fosse per i due blockbuster già citati, la selezione cinese sarebbe stata anche stavolta ben poco rappresentativa della propria centralità all'interno del cinema mondiale. Il cinema più vitale del mondo, quello che sta modellando pesi e dinamiche della settima arte dopo un secolo di monopolio statunitense, vivo e vario, era rappresentato da (pochi) titoli inusuali che però avevano il pregio di mostrare alcuni oggetti frutto di una appurata varietà; il visivamente maestoso Anima, lo sconclusionato Back to the Wharf, l'intimo Like Father and Son, l'atteso remake ad alto budget e superstar Endgame e Before Next Spring, addirittura interamente ambientato in Giappone.

Appena 7 titoli che in parte cozzano con i 12 di Hong Kong di qualità mediamente discutibile. Si apprezza l'amore per il cinema dell'ex colonia e magari gli si fa un torto ad evidenziare la bassa qualità dello stesso; probabilmente è il paragone con il glorioso passato a rendere così irrilevante il cinema locale del presente, un po' come avviene con quello italiano. Ma alla fine così è e alzarne così tanto i numeri non fa che aumentare i titoli trascurabili in palinsesto. 7 film per la sezione delle nuove leve; si va dagli esilissimi Zero to Hero, Sugar Street Studio, One Second Champion, passando per il luttuoso Drifting, il medio esordio alla regia di Erica Li, sceneggiatrice storica di Herman Yau Just 1 Day, che firma un titolo degno del suo “compagno”, il noir di maniera Hand Rolled Cigarette, fino all'ottimo Time, il migliore del gruppo e uno dei film più interessanti del Festival.

Sempre da Hong Kong, ma dalle mani di registi già affermati l'attesissimo e riuscito noir sperimentale di Soi Cheang, Limbo, il buon sequel Shock Wave 2 di Herman Yau, l'insopportabile The Way we Keep Dancing e il Coffin Homes di Fruit Chan di cui si sospende il giudizio fino ad una seconda visione “ufficiale” (visto l'ampio anticipo sulle date di uscita si poteva ipotizzare fosse una copia da proiezione ancora non definitiva).

Un solo titolo dall'Indonesia per un horror, Death Knot, che parte bene e con suggestione e si perde poi nella seconda parte decisamente più indecisa.

Molto meglio dai 10 film giapponesi. Esclusa la tripletta sul pugilato, Underdog, part 1 & Part 2 e Blue, i riflettori erano puntati sull'anteprima di Wheel of Fortune and Fantasy, Orso d'Argento a Berlino e poi distribuito nelle sale italiane ad agosto. E molti titoli interessanti, dall'atteso sequel della violentissima saga yakuza eiga di Shiraishi, Last of the Wolves, passando per i dolci e intimi The Goldfish: Dreaming of the Sea, You're not Normal Either! e Ito, il surreale e contorto Hold me Back con intere sezioni ambientate in Italia, il folle luna park di botte al femminile Office Royale e l'intenso e sconvolgente Midnight Swan.

Malesia, un titolo, Hail, Driver!, più interessante che riuscito esattamente come quello del Myanmar, Money has four Legs.

Spadroneggiano letteralmente le Filippine che escono come vincitrici morali del Festival, sia con la retrospettiva su Eddie Garcia che con i soli due titoli in palinsesto tout court. Ma che titoli. Son of the Macho Dancer, sequel di un vecchio classico si rivela opera disperata, torrida, spietata, tra abusi, prostituzione, nudi integrali maschili, violenza. Ma è Fan Girl, la sorpresa e il film del Festival, che parte come commedia giovanilistica ed evolve verso derive perturbanti senza mai perdere la lucidità né cedere alla spettacolarità del genere. Film straordinario, intimo, che rappresenta quello che era stato Edward l'anno precedente. Imperdibile.

Abbastanza tiepidi i 6 titoli coreani, tra film orribili (Night of the Undead, Ok! Madam), ricchi ma sterili (Seobok e l'acclamato Deliver us from Evil, classico noir coreano che non ci ha mai convinto) e il dignitoso Voice of Silence.

Taiwan con 4 titoli mostra un cinema competitivo, interessante ma discontinuo; Dear Tenant che ha diviso il pubblico, uno spin-off della saga gangsteristica di successo Gatao, poco interessante, Man in Love e l'ottimo My Missing Valentine, uno dei migliori del Festival, commedia agrodolce con note di sci-fi che ha conquistato il pubblico.

Infine la Thailandia che ha ormai perso lo smalto di un tempo ma regala ancora film di intrattenimento magari non perfetti ma competitivi e funzionanti; al Festival il brutto horror The Maid (che ha comunque parti molto ispirate) e il divertente The Con-Hearist, oggetto vorticoso e di cristallino intrattenimento che ha prodotto reazioni di sentito spasso tra il pubblico.

I premi, per una volta anche questi abbastanza condivisibili. Premio del pubblico a Midnight Swan, seguito da You're Not Normal, Either! e My Missing Valentine. Quest'ultimo si è aggiudicato anche il premio dei Black Dragon a conferma di come abbia unito tutto il pubblico in sala. Il trofeo White Mulberry ha avuto una sorta di ex aequo con Hand Rolled Cigarette e Anima con una menzione speciale. Il Purple Mulberry invece è andato a Limbo di Soi Cheang. Su Midnight Swan va detto che il forzarne il focus sulla sola figura del ragazzo transessuale rischia di fare un torto ad un film disperato, cupo, intimo e con sequenze di regia assolutamente sopra la media.

I nostri preferiti li abbiamo abbastanza suggeriti nel corso dell'articolo ma sono stati Fan Girl, Limbo, My Missing Valentine, Last of the Wolves, Time, Bwakaw e Midnight Swan. Vi invitiamo a recuperarli. Non ve ne pentirete.

Gli ambienti.

I film.