Born to Gamble

Voto dell'autore: 3/5

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Se non per la continuità qualitativa, sicuramente Wong Jing è almeno numericamente il maggior creatore di film sul gioco d’azzardo.

Ed è assolutamente da contestualizzare all’interno della propria carriera nel genere anche questo Born to Gamble.

Prima dei giocatori dotati di super poteri, prima della legittimità del baro, prima dell’epica, prima della deriva luttuosa degli ultimi film. Il Nat Chan di questo Born to Gamble rappresenta uno degli eroi del genere più brillanti e gioiosi, un “gambler” vivace e gratificato sia nella vittoria che nella sconfitta. E’ quindi l’ennesimo personaggio creato dal regista, pedina di un puzzle sul genere che Wong Jing costruirà in trent’anni di storia. Di nuovo protagonista è Lolanto, sorta di alter ego del regista; metà playboy, metà giocatore incallito, già presente in altri film di Wong, da Hong Kong Playboys a I Love Lolanto.

Nat Chan interpreta di nuovo il personaggio, giocatore d’azzardo a 360° (lo vediamo applicarsi a tre giochi diversi su altrettanti tavoli e contemporaneamente puntare sulle corse dei cavalli) che decide di smettere con il suo vizio per conquistare una donna, Mina (interpretata dalla carismatica Joyce Godenzi) figlia di un "god of gamblers" interpretato nientemeno che dal regista veterano Chor Yuen (Intimate Confessions of a Chinese Courtesan, The Magic Blade...). L’uomo accetta di dare la propria benedizione alla coppia solo dopo un’eventuale sconfitta al gioco. Visto che il  materiale narrativo sembra esile, il regista ci infila a forza tutta una sottotrama relativa ad un amico di Lolanto (Stanley Fung) che tradito dalla partner decide di andarsi a comprare letteralmente una donna nel cuore delle Filippine dando luogo ad una serie infinita di battute cantonesi becere, eterne ritornanti nella poetica di Wong Jing.

Il regista, in parziale pausa dalla Shaw Brothers, dirige il film sotto la concorrente Golden Harvest infilando anche una comparsa di sé stesso e di suo padre, l’altro veterano Wong Tin Lam.

Nat Chan dona un’ottima prova di attore che da sola trascina avanti l’intera baracca. Sul finale le prime avvisaglie di quello che da lì a poco avrebbe invaso il genere; il villain per battere il protagonista si affida a geomanti e indovini per produrre un feng shui propizio alla partita finale. Insomma, un anticipo sui poteri psichici e sul “baro marziale” ormai imminente.

Il film è praticamente piacevole come tutti i film del regista sul genere e come tutti possiede elementi non immediatamente fruibili da un pubblico poco avvezzo al cinema di Wong Jing, soprattutto sul versante della comicità.