Garo and the Wailing Dragon

Voto dell'autore: 3/5
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Breve cronologia; inizialmente c’è stata la prima serie di Garo, quella edita anche in Italia. Successivamente una miniserie in due puntate per la tv, Garo Special: Byakuya no Maju, il bel film da sala Garo: Red Requiem e un v-cinema, Kiba Gaiden. Poi è toccato alla seconda, splendida serie, Garo: Makai Senki, seguita dal film da sala di cui stiamo parlando che funge da sorta di chiusura della stessa.

Sul finale della seconda serie, Kouga aveva siglato un patto con l’entità Gajari. E in questo film viene narrata proprio la spedizione nella Foresta del Caos per rispettare la promessa. Il luogo in cui si svolge principalmente il film è una sorta di dimensione parallela dove albergano tutti gli oggetti ed entità dimenticate e abbandonate dagli umani che qui riposano assumendo forme alternative in un lisergico clima di inquietante lutto.

Tutto questa dona la possibilità al creatore dalla saga Amemiya di sviluppare un nuovo universo parzialmente distante dal precedente. O meglio, Amemiya -come al solito, diremmo- esagera e di universi ne crea una decina tanto che questo film, a livello di stimoli e inventiva, offre più delle due serie messe insieme. Quindi se quello narrata fino ad oggi era una visione cupa e oscura, gotica, in cui segni grafici e pennellate interagivano con gli eroi, qui ci troviamo in una dimensione opposta, in una sorta di universo discarica ipercolorata affollata di centinaia di creature geniali, proteiformi, cromaticamente accecanti. In una sorta di fusione ideale tra La Storia Infinita, Alice nel Paese delle Meraviglie, Il Mago di Oz e Summer Wars, Amemiya narra una storia per un target decisamente più giovane ma con l’intelligenza dell’autore che non si nega quasi nulla del suo stile passato.

Appena giunto in loco Kouga perde anello, spada e veste, tutti e tre mutati in creature avverse che dovrà successivamente affrontare. Il fine ultimo è il confronto con Judam, strega malvagia affascinata dalle cose belle della terra che cristallizza mentre attende un momento propizio per invadere la nostra dimensione.

Se la partitura narrativa e il ritmo sono probabilmente meno interessanti di altre prove relative al franchise di Garo, a livello di immaginario il regista mostra di non avere ancora esaurito la sua incontenibile fantasia; c’è un mare di sabbia le cui onde infrangendosi per alcuni istanti mutano in spettacolari castelli per poi sgretolarsi in un attimo, ci sono creature di inenarrabile bellezza (una il cui viso è un libro aperto le cui espressioni mutano tramite rapido sfogliarsi di pagine) ci sono buone sequenze marziali coreografate dai bravi atleti della AAC Stunts e il solito digitale non all’altezza ma che non riesce a schiacciare la visione mentale e astratta degli effetti che spesso sfociano in pura avanguardia di abbagliante epilessia. Sembra un piccolo oggetto destinato alla solita derisione a causa del digitale poco competitivo, ma a livello di immaginario un film come questo non ha eguali probabilmente in tutto il cinema spettacolare occidentale degli ultimi 10 anni. Nel film va annoverata la presenza laterale degli altri cavalieri del Makai già presentati precedentemente nella controparte televisiva e un doppio finale, lievemente agrodolce, di straordinaria intelligenza ed efficacia.