High School Girl Rika: Zombie Hunter

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High School Girl Rika: Zombie HunterContinuano ad apparire, come a volere dimostrare una ciclica, seppur minuta, produzione, film di zombie in quel del Giappone. Da alcuni anni film basati su questa figura ormai codificata si sono generati annualmente con esiti spesso modesti; per chi scrive l’85% dei film di zombie prodotti nella storia sono spazzatura, fosse solo per l’approccio patetico e istituzionale alla materia. E da questo giudizio non ne esce trionfante nemmeno il Sol Levante e l’Asia in generale; Tokyo Zombie, Yakuza Zombie, Biozombie, Biocops, Wild Zero, Junk, Sars Wars, The Oneechanbara, Zombie Kampung Pisang, solo per citarne alcuni. A ben guardare sono davvero un pugno quei film asiatici del genere che si salvano e ancor meno quelli su cui riflettere e scrivere alcune parole sensate, con memoria e cuore che corre subito al sublime Stacy.
Emerge così dal nulla questo fantomatico trittico denominato Nihombie, tre film, uno l’anno, dal 2006 al 2008.
Il primo fu la mastodontica delusione Zombie Self-Defense Force, incredibilmente diretto proprio dal regista di Stacy. Poi venne il tutto sommato divertente The Girls Rebel Force of Competitive Swimmers. Infine è giunto questo High School Girl Rika: Zombie Hunter. A ben guardare la cosa più interessante alla fine sono i lunghi e pittoreschi titoli anglofoni. Questo terzo capitolo è un surrogato del meglio, ma soprattutto del peggio, dei primi due; basso budget, zombie e ninfette, seni al vento, sangue, teli e cartoni strategici atti a coprire pareti e pavimenti di una villa onde salvarli dai flussi sanguigni. Bassissima precisione produttiva permeata di pressapochismo, qualche trovata intrigante (la ragazzetta a cui amputano un braccio e gliene saldano uno nuovo, maschile, da body builder) e poco più. Nella cronologia antropologica zombesca troviamo una creatura evoluta, un morto vivente capace di guidare le auto, sparare (seppur in maniera poco precisa) e colpito da impulsi sessuali. Sul finale, senza un senso compiuto vero e proprio, la comparsa di una creatura mostruosa deforme di improbabile origine. Poco digitale mediamente fastidioso. Coreografie degli scontri, rari e tiepidi, incredibilmente gestiti da Tak Sakaguchi (Versus).

La storia è la solita e la poche variabili narrative si possono tranquillamente tralasciare; alla fine non si tratta altro che della staffetta di un gruppo di sopravvissuti in una zona affollata da non morti. Finale vivace che strappa un sorriso. Paradossalmente il migliore dei tre titoli resta il secondo che già di suo era bruttarello.

La prosperosa e incantevole protagonista è interpretata da Risa Kudo, modella, attrice, pin up. Una trilogia sicuramente dimenticabile.