Sick Nurses

Voto dell'autore: 4/5

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Sick NursesQuando la moda sembrava passata, quando il popolo stava perdendo l’interesse, quando si celebrava il decesso di un’intera cinematografia, quando sembrava non ci fosse più nulla da dire in merito, ecco che ricominciano a spuntare degli ottimi film horror. Hanno mai smesso di essere prodotti? No, basta solo cercarli e vederli, invece di rincorrere tanta spazzatura hollywoodiana straight-to-video. Non sorprende inoltre che il film spunti proprio in Thailandia, una delle cinematografie attualmente più vitali. E Sick Nurses è un fulmine a ciel sereno, uno degli horror più genuinamente semplici e geniali degli ultimi anni, in ogni sua componente. Semplice e basilare, nasconde a livello sottocutaneo vitali vene d’oro. Il film appare come un “women with guns”, senza guns; al posto delle pistole c’è la componente horror ma la forma è la stessa. Continuo fan service per gli spettatori, inquadrature sempre ad altezza seno o culo, un unico set e un infinito ludico massacro. C’è un ospedale, ci sono un pugno di pin up sciocchine in divisa da infermierine, e c’è uno sterminio che occupa l’intera metrica del film. La fotografia acidissima e monocroma e la regia inventiva rendono il film come un ideale lavoro ispirato alle opere di Junji Ito e diretto da un regista di spot pubblicitari. Il resto è lasciato ad un utilizzo sfrenato e incontrollato della fantasia.

Un gruppo di infermiere per amore di un dottore si rendono complici dell’omicidio di una di loro. Il fantasma rancoroso della vittima ritornerà per placare il proprio odio.

La base è quella volutamente banale (banale perché reiterata non per altro) di tanti altri horror; fantasma rancoroso lungocrinito, maternità, transessualità, capelli viventi e rancore d’amore. Su questo tessuto narrativo si muovono però le vicende della fantasmessa probabilmente più sexy della storia del cinema, anche lei inquadrata e fotografata sensualmente con continuo soffermarsi sulle sue cosce tornite. E poi i cruentissimi omicidi a cui il cinema horror thailandese ci ha ormai abituato; ad una ragazza si infila un telefono cellulare sotto la pelle del viso e quando le telefonano si illumina il quadrante sotto le sue guance. Ad un'altra fanno mangiare alcune lamette dei bisturi e questa perde la mandibola, le cade la lingua che viene mangiata da un gatto e poi un feto in formalina salta fuori da un barattolo e le si conficca inspiegabilmente in gola. Il montaggio è alternato, avanza avanti e indietro nel tempo e alterna le torture sulle fanciulle bloccandosi tipo telefilm per poi tornare in quel punto e continuare gli abusi da dove erano stati precedentemente interrotti. La rivelazione finale poi è una di quelle che catapultano il film tre metri sopra il cielo. Praticamente il tutto si risolve come una volutamente sciocca puntata del Playboy Show (o, restando più in tema, di quei DVD giapponesi di pin up giovanissime e in bikini che passeggiano) filtrata da sferzate di orrore gore. Tanto semplice e pretestuoso quanto divertente. Le attrici sono tutte giovanissime e belle, tutte o quasi ai primi passi nel mondo del cinema. I due registi, all’apparente esordio, sono due nomi da tenere assolutamente sott’occhio. Dietro la concessione incondizionata al genere traspare un talento e un gusto visivo fuori dal comune.

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