The Arrival

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The ArrivalErik Matti, si sa, oltre ad essere un furbone, è anche uno dei magnati dell’industria cinematografica filippina, la mente dietro successi locali come Exodus: Tales from the Enchanted Kingdom (che ricordiamo, è film commissionato da un parco giochi filippino, come se da noi in Italia un regista girasse un film promozionale per Gardaland). Quindi, l’improvviso passaggio dell’autore di Gagamboy al mondo del low budget suscita sicuramente più di una domanda: solitamente infatti, sono i neo film-maker a girare a basso costo nella speranza di avere successo per poi avere budget più elevati, e mai si è visto a Manila un regista mainstream tra i più famosi passare deliberamente dai blockbuster alle pellicole che sembran girate col cellulare e montate con windows movie maker. Eppure, già dicevamo, Erik Matti è un furbone, ed è anche ormai internazionalmente riconosciuto che il cinema filippino apprezzato all’estero è proprio quello indipendente e low budget, grazie a Brillante Mendoza che ne ha fatto una vera scuola e una new wave. Oggi, a trovare mercato al di fuori di Manila non sono i film mainstream (quelli più amati dal FEFF Udinese), bensì neo-autori come Raya Martin, Khavn De La Cruz o John Torres, tutti accomunati dalla videocamera digitale low-cost e dalla privazione del sostegno delle major locali. Ecco allora che il motivo dell’esistenza di The Arrival trova una sua concretezza; Erik Matti, con questo film, intende esattamente cavalcare il trend della new wave, e fin’ora i suoi calcoli stanno dando i frutti giusti: la pellicola ha ottenuto ben 8 nominations ai Gawad Urian Awards (già una vittoria per Matti, che in vita sua non è mai stato candidato da nessuna parte).
The Arrival, che eppure è un film che funziona (regia al grado minimale, con un’abbondanza d’inquadrature fisse e un ritmo che segue il calmo della quotidianità) non riesce però ad allontanarsi da una certa puzza di falsità, come se avessimo costantemente davanti un tentativo di emulazione, e mai un’opera realmente sentita, autentica, necessaria. Erik Matti non è mai stato un Dottor Jeckyll e Mr. Hyde, un regista dalla doppia personalità come potrebbe essere Gus Van Sant (che da sempre gira i film commerciali per potersi permettere la produzione delle sue opere più personali). The Arrival, quindi, è da prendere innanzitutto come imitazione, un’imitazione intelligentemente congegnata, costruita ad hoc e ragionata per rispettare determinati clichè ed atmosfere proprie dell’indie filippino (con tanto di canzoni a voce e chitarra per intervallare determinati capitoli dell’opera, come usanza in diversi prodotti new wave). Ma nonostante questo, nonostante The Arrival sia funzionale, il suo limite sta nell’essere semplicemente una copia che in confronto agli originali non riesce a liberarsi da un’aura di inutilità.
Ad ognuno il suo quindi: Erik Matti ha già comunicato che dalla prossima pellicola tornerà al mainstream. Da parte nostra, quando vorremo vedere una gemma della new wave filippina, ci rivolgeremo ad altri lidi ed autori, come Ato Bautista o Auraeus Solito.

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