The Truck

Voto dell'autore: 3/5

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TruckLa rozzezza e il furore di tanti film torridi, cupi, materici degli anni ’70 statunitensi, fuso ad un inizio dal vago sentore hongkonghese donano un’aroma speziata a questo piccolo, povero ma a tratti intrigante strano film sudcoreano. La parte più interessante è sicuramente quella iniziale profusa di scrittura all’americana, tesa, placida, atta a caratterizzare e inserire elementi. E tutto scorre languido finché i pezzi e le carte non vengono gettate sul tavolo e rivelate. La seconda parte, colpa anche di inevitabili -in questo caso- leggerezze di sceneggiatura, porta il film su zone più violente ma risapute regalando un prodotto più locale in linea con recenti film poco classificabili del calibro di Our Town e Black House.

Chul-min (Yu Hae-jin) ha il cuore d’oro ma è stato sfortunato; ha perso la moglie ma gli è rimasta la figlia che per lui vale più di ogni altra cosa. Lavora come autista seguendo turni spossanti ma è comunque felice della sua piccola vita fatta di piccole cose. La figlia però è colpita da un male incurabile e necessita di un costoso trapianto di organi. L’uomo accumula tutti i propri risparmi, passa a strozzini e a prestiti di amici ma la cifra sembra non essere mai raggiunta e così cede al consiglio di un amico che lo porta a giocare d’azzardo. L’uomo perde tutto, camion incluso e viene percosso da dei gangster. Anche la pioggia sembra volere infierire su di lui. Strappato nell’ultimo istante alla morte è costretto, in cambio della cifra ricercata, a sbarazzarsi con il suo camion di un gruppo di cadaveri, vittime della mala. L’uomo parte così per un viaggio alla ricerca di una località sicura in cui occultare i corpi. La sfortuna non sembrerebbe nemmeno così spietata se non fosse che il suo veicolo dovrà farsi carico di un altro ospite; il più sanguinario serial killer della Corea appena evaso.

Il sangue scorre sicuramente meglio della storia, ma il film paradossalmente riesce a coinvolgere maggiormente con la violenza psicologica dell’inizio che con quella grafica della seconda tranche narrativa, assolutamente più risaputa e superficiale. I soliti tripli finali tipici del cinema coreano e l’ennesima lotta sotto la pioggia sono le due ciliegine sulla torta che sembrano volere rassicurare lo spettatore su ciò che sta guardando. In un periodo di fiacca come questo per il cinema sudcoreano un film del genere seppur imperfetto si rivela come una piacevole visione disimpegnata.