Alone

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AloneDopo il successo planetario del precedente Shutter, i due registi perseverano all’interno del genere horror, ma con un approccio sostanzialmente diverso, figlio della coscienza del nuovo cinema thailandese degli ultimi due anni. Alone, infatti, parte dall’insegnamento del genere rinnovato in Giappone, lo carica di colori caldi e lo permea di una dose massiccia di melodramma portandolo quindi ai livelli di titoli del calibro di The Unseeable e Dorm; il risultato finale è più vicino a The Unseeable contemplando al contempo una maggiore componente della partitura melodrammatica rispetto a quella prettamente horror (che ottiene reazioni solo la metà delle volte che viene tentata e con metodi meno originali rispetto al precedente Shutter). Allo stesso modo, la co-produzione con la Corea del Sud fa emergere motivate comunioni con alcuni horror mentali locali come il fondamentale Memento Mori. Ad essere messo in scena è di nuovo il tema del doppio, uno dei maggiormente esplorati dall’horror asiatico (insieme alla maternità a rischio, la parzialità dello sguardo, l’amore assoluto..) qui caricato dal legame di sangue. Infatti Pim e Ploy sono due sorelle siamesi unite anatomicamente da un cordone di carne all’altezza dello stomaco. All’età di 15 anni Pim si innamora di un ragazzo, Wee, ma quando questo viene dimesso dall’ospedale in cui era ospitato, i due si perdono di vista. Quel periodo è anche quello in cui le due sorelle decidono di separarsi; apparentemente l’operazione chirurgica provoca la morte di Ploy. Anni dopo Pim vive sposata con Wee in Corea e riceve una telefonata dalla Thailandia che la avverte di una grave malattia che ha colpito la madre. Ritornando in patria Pim dovrà al fine affrontare il fantasma apparentemente rancoroso della sorella in cerca di un’inspiegabile vendetta. Si tratta di un’apparizione reale o è solo un frutto della sua mente vacillante e delle sue colpe? Lo svilupparsi della  narrazione darà precise e terribili risposte al quesito. Rigoroso, competente, funzionale, suggestivo. Fin troppo pulito. L’attenzione sul nuovo horror “autoriale” thailandese è tesa. Perché se da una parte vengono prodotti dei lavori formalmente ineccepibili (vedi The Unseeable) dall’altra spesso viene a mancare la vitalità, originalità ed efficacia. Fortunatamente la pesante dose melodrammatica riesce a dare una marcia in più al film, marcia che lo allontana fortunatamente da prodotti come Colic con cui ha in comune il maniero, l’attore protagonista e il rogo purificatore finale. Il tema delle sorelle siamesi è suggestivo e trattato con competenza e innegabile coinvolgimento. L’attrice protagonista Marsha Wattanapanich (di sangue thailandese e tedesco, interpreta sia Pin che Ploy), nota cantante (sua la canzone durante i titoli di coda), modella e attrice, struccata e privata della sua bellezza da pin up è estremamente convincente nell’interpretare entrambe le sorelle ed efficacissima nel finale. Un ottimo film che fa il suo lavoro, non un capolavoro, ma non necessariamente ci si può aspettare solo capolavori dal cinema thailandese, soprattutto vista l’estrema sterilità attuale del genere in occidente.
Già venduti i diritti per due remake, uno indiano e uno statunitense.

 

Alcuni scatti del backstage