The Unseeable

Voto dell'autore: 3/5

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The UnseeableWisit Sasanatieng è uno dei nomi di spicco della new wave thailandese, uno dei pochi del cinema locale contemporaneo ad essersi fatto apprezzare anche in occidente grazie a titoli del calibro de Le Lacrime della Tigre Nera (edito anche in Italia) e Citizen Dog, incensato in mezzo mondo, Italia esclusa, oltre ad essere fondamentale sceneggiatore per terzi (sua la firma degli imprescindibili Nang-Nak e Dang Bireley and the Young Gangsters). Dopo i primi due lavori però il suo cinema sembra essersi improvvisamente normalizzato; il regista si mette al servizio del genere più di moda in zona e più facilmente esportabile, ovvero l’horror. Il problema (se di problema si tratta) è che non ambisce a riscriverne stilemi e temi, ma si cala placidamente nel genere assumendone regole e leggi e seguendole fin troppo alla lettera. La colpa in parte si può forse attribuire alla sceneggiatura scritta da terzi (Kongkiat Khomsiri, membro del Ronin Team, i responsabili di Art of the Devil 2) e non dallo stesso regista come al suo solito. Il film si rivela così una pedina anomala e apparentemente fuori posto all’interno della sua seppur breve vita cinematografica, incarnando –fatti i debiti paragoni- all’interno della propria carriera quello che è stato A Tale of Two Sisters in quella di Kim Jee-woon.

Il film può così apparire sottilmente anonimo anche se a ben guardare ritornano in superficie tutte le tematiche più insistite e riflessive, sia interne al genere che allo stesso cinema locale. Infatti a livello più superficiale notiamo come il film si inserisca nel filone crepuscolare e malinconico degli ormai classici “fantasmi d’amore”, narrando la storia di una ragazza di campagna, Nualjan (la brava Siraphan Wattanajinda, ossia la Dakanda del film Dear Dakanda; per ulteriori approfondimenti leggere l’intervista) che si reca in un maniero alla ricerca del suo uomo, scomparso da mesi lasciandola con un figlio in grembo, entrando in contatto con il sovrannaturale. Al contempo emerge un’altra paura comune e una tematica molto sentita nel cinema locale, quella della maternità a rischio, protagonista di un numero pressoché infinito di titoli (da The Eye 2 a Colic, The Unborn…).

Inoltre viene spinta avanti di nuovo una delle riflessioni più profonde del nuovo cinema Thai che è a sua volta un diretto riflesso dei cambiamenti sociali e urbani del paese, ovvero la dicotomia città/campagna, dove la campagna (e già questo tema era vivo all’interno del precedente Citizen Dog) rimane lo status base e idilliaco, placido e ordinato (finanche ingenuo) contrapposta ai vizi e alla frenesia marcia della capitale in continuo frenetico cambiamento, guardata con sospetto ma al contempo agognata egoisticamente perché fonte di evoluzione e di denaro.
Alcuni hanno paragonato il film al The Others di Amenabar, ma se anche l’osservazione è legittima forse il film non si rivela altro invece che una costola di certo horror nipponico, quello sulle micro leggende urbane popolate di fantasmi. D’altronde la rivelazione finale non fa che mettere in scena un fantasma tematico (in questo caso lo spettro di una donna impiccata che cerca di fermare i risciò di passaggio), costruendoci poi intorno una struttura da lungometraggio; ovviamente il materiale era più adatto per un corto piuttosto che per un lungometraggio e alla fine il film forse rimane più riuscito sulla carta che nella sua realizzazione finale. Al contempo però si tratta di un lavoro tenacemente locale, profondamente ancorato nella propria cultura anche se proposto con una confezione internazionale.
Non si può parlare comunque di The Unseeable come di un lavoro totalmente riuscito, né eccessivamente originale e rimane un film di passaggio  nella carriera del regista, nonostante la suggestione e l’ottima prova registica purtroppo adattata ad un soggetto forse troppo lineare e esile per il talento visivo di Wisit Sasanatieng.
Va però fatta un’ulteriore osservazione. Questo film, così come Dorm, Tabunfire, Mercury Man e altri, mostrano come il 2006 sia stato l’anno  dell’affermazione definitiva dei film thailandesi, ovvero il passaggio dal rodaggio alla competività e affermazione personale, l’arrivo ad un livello di consapevolezza e di gestione di risorse e mezzi finalmente consapevole e maturo (che non necessariamente ha corrisposto però ad un successo di pubblico). Dieci anni precisi dopo l’esplosione del nuovo cinema thai (la Corea ad esempio ci ha messo meno, ma forse si è messa meno in discussione) i film hanno raggiunto un livello definitivo di identità. E’ stata finalmente riscritta la strada e il contesto, c’è stata un’evoluzione evidente che ha portato ad una nuova fase di produzione e ad un nuovo punto di partenza per la seconda new wave o “fase 2” che dir si voglia. Non è poi all’interno di questa recensione che bisogna parlare di questo argomento (rimandiamo allo speciale dedicato) ma anche The Unseeable è comunque una pietra di alta riflessione sullo stato attuale del nuovo, vitalissimo cinema thailandese.