Connect

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Questa è estremamente buffa. Ad un certo punto della storia anche il giapponese eclettico e liberissimo Takashi Miike finisce in Corea del Sud a dirigere una serie tv ultrasplatter, tratta da un webtoon e prodotta da Disney+.

Detta così sembra un testo dadaista. Ma non lo è.

E fortuna ci sia Miike dietro questa roba perché difficilmente in caso contrario sarebbe stato tollerabile questo polpettone indigesto scritto con i piedi e pieno di elementi visti infinite volte in tanti manga discutibili giapponesi. Miike invece riesce a rendere “guardabile” e tollerabile il materiale di partenza; davvero un re mida che quando tocca qualcosa lo muta in oro. O se non in oro, sicuramente in una pietra pregna di un qualunque valore. Perché -di nuovo- la base e lo sviluppo sono dei peggiori.

In Corea vivono i “connect”, persone vittime di esperimenti di un’industria farmaceutica che non possono morire e il cui corpo rigenera ogni tessuto danneggiato, riattaccando anche arti separati e reinsaldando ossa sbriciolate. Queste persone vivono una vita in incognita fino a che uno viene rapito da dei trafficanti di organi che fanno scempio del suo corpo. Sotto gli occhi stupiti del chirurgo, si riassembla e fugge, “dimenticando” però uno dei suoi due occhi che viene impiantato nella testa di un serial killer che realizza opere d’arte con corpi umani posizionandole poi nei luoghi nevralgici della città, serial killer colpito da un male incurabile. Indaga la polizia e le gang mafiose locali.

Si, esatto, un delirio, un po’ l’Ospite Indesiderato, un po’ Tokyo Ghoul e mille altre cose. In peggio.

Nonostante tutto, Miike forte di un buon budget e di un’ottimo comparto di effettistica, riesce a metterci molte delle sue visioni e immagini ricorrenti; gli eterni dialoghi e confronti sviluppati sui tetti dei palazzi, due gangster gay, quello che sbircia incuriosito il pene di un cadavere smembrato, e la violenza pittoresca dell’ultima puntata, oltre a qualche strizzata d’occhio per i fans (abbiamo notato un poster di Audition appeso su una parete dello sfondo).

Non sappiamo se fosse già presente nel webtoon ma il fatto che il rifugio dei ribelli sia in un vecchio cinema abbandonato non fa che sottolineare di nuovo la lotta sotterranea e resistente del buon cinema contro l’esilità, gratuità e nullità artistica delle invadenti opere seriali del presente. E che Miike lanci questo grido proprio da dentro una piattaforma è degno di lui.