Crows Zero II

Voto dell'autore: 3/5

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Breve sunto della carriera del prolifico regista nel periodo in analisi. Tra il Crows Zero e il Crows Zero II, Miike si è tolto lo sfizio tornando in Tv e dirigendo alcuni episodi della folle serie action sui telefoni cellulari transformers Kêtai sôsakan 7, il debole e estenuante God’s Puzzle e il colossal discontinuo Yattaman.

Inizia dove si era interrotto il precedente capitolo questo sequel del maggiore successo cinematografico (al momento dell'uscita) di Miike Takashi (24 milioni US$) tratto da un fortunatissimo manga. E su quella strada si incanala, percorrendola coerente fino in fondo. Stessa struttura, stesse dinamiche, solo un briciolo di senso del surreale in meno. E quindi stessa identica resa finale, qualità, piacere della visione. D’altronde non ci troviamo altro che di fronte ad una versione alternativa degli Young & Dangerous hongkonghesi; e sempre dalla perla d’oriente arriva questa visione idealmente alla Chang Cheh dei combattenti, giovani ragazzi femminei, nudi, scolpiti, griffati, sudati, coperti di sangue, legati da codici di onore del tutto personali. Ode a Chang Cheh (e a Mishima, verrebbe da dire).
Le due ore abbondanti si riducono così ad estenuanti risse multiple, con nota per quella finale (speculare a quella del primo film) lunga trenta minuti precisi in cui ad affrontarsi sono centinaia di persone all’esterno e all’interno dell’intera planimetria multipiano di una scuola. Per il resto, derive yakuza, un po’ di rock annacquato, qualche scampolo ironico, riuscendo anche a non disorientare lo spettatore (anche quello che eventualmente non ha preso visione del primo film) di fronte ad un numero così elevato di personaggi, co-protagonisti e secondari. Alla fine il tutto si risolve in due eserciti singoli, quello dei neri e quello dei bianchi rasati, scelta radicale ma utile anche ad un distratto spettatore occidentale.
I protagonisti, ovviamente, sono una pletora di divetti locali, bellissimi, dai capelli e dai corpi scolpiti, abusanti gel e lacca, dai vestiti impeccabili e griffati (ma sempre pronti ad essere invasi da sangue e sudore) vero magnete per un pubblico adolescente che non ha naturalmente disertato la sala. La regia è discontinua, a tratti vivace (ad esempio all’inizio, straordinario come tutti gli inizi dei film del regista) a tratti più svogliata nelle sequenze di raccordo. Poi si può anche riflettere su quanto possa essere interessante osservare per ore dei ragazzini che si azzuffano rimbalzando pugni ciclicamente addosso ai corpi altrui come in una sanguigna partita a tennis. Ma sicuramente, vista la resa finale, il dittico si può dignitosamente candidare come una sorta di ideale I Guerrieri della Notte del nuovo secolo.