Dead End Run

Voto dell'autore: 3/5

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La notizia fondamentale è che questo lungometraggio di Ishii Sogo in realtà non è un lungometraggio, bensì tre episodi da 20’ accomunati dallo stesso motivo: due personaggi e una fuga senza scampo per vicoli, tunnel e strade buie di quella metropoli che è pressappoco lo stesso luogo in cui si agitavano i due eroi “elettrici” di Electric Dragon 80.000 V (che a sua volta è intimamente simile alla metropoli come ci appare in quasi tutti i film del “collega” Tsukamoto).
L’idea non è male, ma diciamocelo francamente, nella storia del cinema quanti sono i film a episodi che hanno lasciato davvero un segno indelebile? Pochissimi, semplicemente perché per un regista (anche blasonato) il film a episodi resta e resterà sempre il genere più difficile in assoluto da realizzare. Ishii (forse mancando un po’ di ispirazione), si butta in questo progetto e non sembra fare eccezione. Con tutto il rispetto e l’ammirazione affascinata con cui ci inchiniamo al suo stile e alla sua bravura tecnica, Dead End Run è un film frustrante e deludente.

Deludente perché lo stile di Ishii è lo stesso identico stile di vent’anni fa (vedere Burst City, prego): corse a perdifiato, camera traballante in preda a delirio parossistico, buio-neon-buio-neon e via di seguito, musiche a volume da reparto geriatrico, montaggio adrenalinico; il tema poi è lo stesso di Electric Dragon 80.000 V: due personaggi (questa volta x 3) che si confrontano e lottano, naturalmente sullo sfondo della grande metropoli. Personalmente chiediamo una sola cosa a un regista: di non trasformarsi in maniera e di non diventare mai la copia di sé stesso. A conti fatti, Dead End Run è una propaggine di cose che Ishii ha già fatto, e che ha fatto forse meglio.

Frustrante perché almeno due dei tre episodi del film non brillano né per originalità né per inventiva. Il primo gioca la carta del musical come elemento straniante (ma nessuno ha avvertito Ishii che il musical è già di per sè un elemento straniante, e l’hanno inventato gli americani); il secondo è l’anatomia di un duello tra due uomini e le loro pistole (detto così suscita certo un po’ di umorismo), con relativa suspence che si dilunga inverosimilmente fino alla sua naturale e scontata conclusione. Niente di particolarmente epocale.
Il terzo episodio, con Tadanobu Asano (che fa sempre la sua splendida figura, indipendentemente dal film, dal ruolo, da qualsiasi cosa), mostra invece piacevoli segni di vita: l’azione si sposta sul tetto di un palazzo, al solito c’è un inseguito e degli inseguitori, ma qui siamo in pieno giorno, la luce è talmente abbagliante da sembrare finta, e un nuovo personaggio  (che non sta bene svelare) si inserisce a turbare e scompaginare la dialettica risaputa della guardia e del ladro. Il gioco delle parti è bellissimo e spiazzante al contempo, e alla fine si conclude con una specie di lieto fine. Lo spettatore, basito, in cuor suo si augura che Ishii riesca un giorno a fare un film che sia tutto come questo stupefacente episodio finale di Dead End Run.