Girl Boss Blues: Queen Bee’s Challenge

Voto dell'autore: 3/5

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Al secondo capitolo della serie Girl Boss Blues c’è ancora poco di intrigante esclusi i soliti bellissimi poster promozionali.

Siamo esattamente sugli stessi livelli del precedente film con una leggera impennata di nudi e di sequenze di sesso.

Certo, possono benissimo essere le marche caratterizzanti della serie ma forse si pecca in eccesso di chiacchiere rispetto a dei film che sono ad un livello ben inferiore sia ad altri del periodo, primi tra tutti quelli di Stray Cat Rock, sia di titoli basati sul sesso tout court.

In questa ibridazione tra yakuza eiga e film di donne violente non c’è spazio per moto, poco per lotte e duelli, mentre il tutto si convoglia sempre lì, nel sesso che alla fine regala forse i momenti più “creativi” e interessanti tra cui uno stupro operato con una bottiglia di Coca Cola preventivamente agitata in modo da produrre un getto frizzante all’interno del corpo della sventurata di turno (sorta di evento surreale speculare alla sequenza di sesso motociclistico del primo capitolo della serie).

La summa emotiva è evocata da una inaspettata svolta introspettiva nel personaggio principale interpretato dalla strabordante Reiko Ike (più nuda e più fine del solito) confrontata ad una ritrovata madre che l’aveva abbandonata da piccola.

Climax del film l’intenso e –oggettivamente- bellissimo finale sanguigno, simile in parte a quello di Female Prisoner # 701: Scorpion, dello stesso anno.

La base narrativa è la storia di gang di ragazze, atte a sfruttare il (proprio) corpo per sovrastare il maschio, derubare uomini, e ottenere un proprio “girl power”.

Episodicamente si giunge alla scontro tra due gang femminili rivali, la Black Lily Gang e la Pearl Gang. Subito dopo la yakuza vorrà fare suoi e sfruttare per i propri interessi i gruppi femminili. Sarà alleanza, lotta, scontro.

C’è ben poco d’altro se non lo spazio per altri 5 successivi capitoli.