Man on the Edge

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E’ ormai inusuale la produzione di un film come Man on the Edge in quel di Hong Kong.

Ovvero di un film in cantonese, ambientato nella città pre-landover e con un cast e budget di tutto rispetto. Avanza a tastoni per molto tempo, tale da demotivare lo spettatore, ma poi inanella delle buone svolte che se non lo ergono a film di rilevantissimo livello lo mostra però come oggetto appunto inusuale e degno di alcune riflessioni.

L’inizio infatti è quello dell’ennesimo titolo sugli infiltrati nelle triadi in stile Infernal Affairs (ma scritto mediamente peggio) che strada facendo finisce però ad omaggiare i classici di John Woo, nei contenuti e nella forma e con lui l’intero cinema locale (o parte di esso) dell’epoca. Nel film c’è infatti ancora in bella mostra il Jumbo, il ristorante galleggiante di Aberdeen, poi smantellato e “involontariamente” affondato a giugno 2022.

Sul finale il regista inoltre azzarda anche la classica sequenza musicale con riassunto delle sequenze più rilevanti ed emozionali già proposte, scelta di routine un tempo.

Si risolve così in un omaggio al cinema che fu questo Man on the Edge, con le musiche di Leslie Cheung che arrivano da A Better Tomorrow di Woo, appunto, un paio di sparatorie in quello stile e un cast da tipico noir balistico del genere: protagonista assoluto è infatti Richie Ren Xian-Qi, più noto forse per i noir di Johnnie To (Breaking News (2004), Exiled (2006)…) a cui si affianca Simon Yam (Bullet in the Head (1990), Full Contact (1992)…). E poi comparse rapide di Sammo Hung, Kenneth Tsang Kong (A Better Tomorrow (1986), The Killer (1989)…), Alex Fong Chung-Sun (Overheard (2009)) e Eddie Cheung Siu-Fai (Election (2005)).

Altra nota abbastanza inedita è la scelta di usare come figura negativa i colonizzatori inglesi che tessendo una rete criminale con le triadi puntano alla destabilizzazione del paese una volta tornato alla Cina. 

Violenza di livello sopra la media, e la regia di Sam Wong Ming-Sing che regala alcune sequenze d’azione più che riuscite senza peccare di eccesso né imitare il wirework e affini di un tempo, ma al contempo senza eccedere nell’irrealismo patinato portato dal digitale; il risultato, di nuovo, è interessante. Il regista d’altronde nasce come attore marziale, poi come coreografo di livello e figura centrale nel Jackie Chan Stunt Team, esperienza che gli permette di sfruttare al meglio le possibilità di un budget apparentemente dignitoso e un cast delle grandi occasioni.

Man on the Edge non sarà ricordato come film epocale o di svolta, ma un buon omaggio a un tempo passato e un robusto e raro noir contemporaneo che sa gestire i propri ingredienti. Dimostra anche come ad Hong Kong esistano budget, attori e contenuti se solo lo si voglia ma che come in tutti i corsi storici del cinema mondiale non c’è stato purtroppo un ricambio dei talenti presenti fino a venti anni prima del 2021.