Manchurian Tiger

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Bello come mediamente tutti i film ambientati nell’Heilongjiang cinese, da Black Coal, Thin Ice al precedente film del regista, nativo di Yilan, paese di quella provincia. Zone remote, nevose, a tratti confinanti con la Russia e in cui l’economia è principalmente basata sulla produzione e distribuzione di carbone (elemento in comune anche con la regia di Sammo Hung, My Beloved Bodyguard, ambientato a Suifenhe, 300km più a sud, che sembrano molti ma in realtà non lo sono).

Geng Jun prosegue la sua strada personalissima sei anni dopo il precedente Free and Easy (il suo titolo più noto e riconosciuto).

La forma è la stessa, vicende di personaggi che si svolgono in parallelo e talvolta cozzano insieme.

Simile è anche il contesto geografico, ovviamente. Ma mentre il precedente film era pittato di tratti più surreali tali da evocare talvolta -fatti ovviamente i debiti paragoni- alcuni film dello svedese Roy Andersson, questo film è più classico e controllato ma colpito da inaspettate vene di nichilismo che lo avvicinano a tratti allo straordinario An Elephant Sitting Still, di Hu Bo.

Certo, spesso emergono note anomale, accenni di stranezze ambigue, ma tutto sommato tenute a freno nelle corde di una narrazione composta, dilatata allo spasimo, più curata formalmente. E questa cura si riflette anche nell’evocazione di alcune immagini di straordinaria resa: fin dall’inizio colpisce il totale della coppia che si “ama” all’interno dell’abitacolo di un trattore isolato su una miniera di carbone mentre il sole al tramonto perfettamente posizionato sul retro dell’abitacolo dipinge una silhouette dei due attraverso i vetri.

La narrazione avvicenda travagliate vicende sentimentali, debitori in cerca di denaro, e altri personaggi in cerca di una posizione nel mondo. Per questo film il regista si aggiudica anche qualche attore di un certo rilievo come Zhang Yu (Snipers, An Elephant Sitting Still, Dying to Survive), Ma Li (Too Cool to Kill, Meow) e Guo Yue (Kaili Blues) che non hanno comunque significato una visibile attrattiva al botteghino. Il film viene accusato di “lentezza eccessiva” (a fronte di quasi due ore di durata); certo, non è un film facile per il grande pubblico ma ogni film ha un un suo ritmo e se questo è consapevole e coerente, il problema della “lentezza” è un problema del pubblico non dell’autore. O della critica.

Lo sceneggiatore è lo stesso di Free and Easy, Liu Bing (che offre anche un cameo nel film), mentre all’ottima direzione della fotografia troviamo Wang Weihua. Manchurian Tiger è un film che può apparire difficile, ma anche un film per un pubblico preparato che ha voglia di mettersi a confronto e sprofondare senza remore in un universo unico e personalissimo, in un contesto geografico e culturale inedito e refrigerante, quello della statica pianura coperta di neve e fumo dell’Heilongjiang, sferzata di abitudini (il cachi mangiato con la cannuccia), riti, architetture, rumori di ambiente, presenti in pochissimi film.