Okatsu the Fugitive

Voto dell'autore: 3/5

VOTA ANCHE TU!

InguardabilePassabilePiacevoleConsigliatoImperdibile (1 votes, average: 4,00 out of 5)

Il 2005 è stato l’anno della Signora Vendetta. Il 1981 è stato l’anno dell’Angelo della Vendetta. Ancora prima, il 1969 è stato l’anno del Diavolo della Vendetta.

Ritorna Nobuo Nakagawa (maestro dell’horror giapponese) alle redini di questo terzo ed ultimo capitolo della “Poisonous Seductress”, dopo averne già diretto il precedente episodio; e sembra quasi che Quick-Draw Okatsu sia stato in realtà le prove generali per questa successiva opera, quasi l’allenamento per affinare e affilare la katana registica.

Di nuovo salta, come d’altronde tra il primo (il migliore, paradossalmente) e il secondo capitolo, la continuità narrativa. Si riparte dall’inizio, con in comune solo la figura di Okatsu di nuovo interpretata dalla glaciale Junko Miyazono, nei panni di una figura docile e statica strappata al proprio locus amoenus e costretta ad armarsi e combattere in nome di una cieca e spietata vendetta.

Okatsu è prossima al matrimonio con un docile e rispettoso samurai, accettato anche dai suoi genitori. Ma suo padre scopre un doppiogioco di alcuni nobili che hanno iniziato un prolifico e remunerativo contrabbando di foglie di tabacco. Oggetto della disputa è un documento che testimonia l’attività illegale. Il gruppo di criminali provoca la morte dei genitori di Okatsu che al contempo subisce il tradimento sia del suo futuro sposo che del proprio maestro di spada. Parte così in direzione della vendetta aiutata solo da un maestro spadaccino e dalla sua katana.

Straordinario l’inizio del film, altamente stilizzato e celebrativo in linea con tante partenze sia relative a chanbara che a kung fu movie anni 70 di Hong Kong, in cui vediamo Okatsu in pose stilizzate battersi contro dei nemici su fondi neutri. La regia si affina, diviene più frammentaria ma al contempo il regista ci rovescia dentro un gusto tutto personale per l’horror. La collinetta delle esecuzioni avvolta da acide luci monocrome, dove si snoda il climax del film, sembra uscita dal classico dell’horror Jigoku (sempre di Nakagawa), .

Anche stavolta relativamente al primo illuminante capitolo ci troviamo di fronte ad un’assenza totale di nudi anche parziali e ad un utilizzo di sangue lievemente sotto la media del genere, anche se non mancano scontri violenti e torture varie. L’opera si rivela comunque una degna chiusura della saga e un’ottima prova pionieristica nella messa in scena di figura femminili forti, parallela alla coetanea e ben più famosa “peonia rossa”, anni prima di tante altre guerriere del “gentil” sesso.