Shin Ultraman

Voto dell'autore: 4/5
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Dopo Shin Godzilla, il progetto di Hideaki Anno di rielaborare in chiave autoriale i tre maggiori simboli del tokusatsu (escludendo -per ora- i super sentai) si espande a Ultraman e Kamen Rider. Di fronte a tali operazioni la domanda primigenia e l’interesse vincolante è focalizzato nel mood, nel taglio, nelle decisioni di approccio alla materia.

Se per Shin Godzilla si tornava alle origini oscure e politiche del mito, per Ultraman, Anno opta per un approccio antitetico, abbracciando -più della serie originaria- il genere della commedia. Come avevamo già previsto e anticipato, in pratica è simile al What to Do with the Dead Kaiju? di Miki Satoshi, uscito pochi mesi prima, ma con più talento e un budget degno. Budget ovviamente proveniente dalla Toho (la casa di Godzilla) passando per le “magie” della Tsuburaya, la fucina del fantastico che ha dato i natali a tanto universo meraviglioso giapponese, diretta discendente di Eiji Tsuburaya lo stesso ideatore degli effetti del primo Godzilla.

E’ un film euforico, giocoso, autoreferenziale, postmoderno e pieno di fan service, va detto. Anno (e Shinji Higuchi, già spalla diretta in Shin Godzilla che qui risulta come regista unico, in realtà) gioca in continuazione con lo spettatore e con i fans duri della materia, fin dai titoli di testa. Prima del logo di Ultraman infatti, il film si apre con la classica e mitica sequenza della serie fatta di fluidi colorati spiraliformi su cui però si staglia il titolo Shin Godzilla. E oltre alle musiche, tornano infatti simboli, inquadrature, effetti sonori provenienti dai primi episodi del 1966. Non escludiamo abbiano usato dei pupazzetti giocattolo come sosia del protagonista in alcune scene.

Dopo l’inizio citato il film parte in filologia evocando le pietre miliari di Ultra Q, la serie precedente “ibrida” del 1966 da cui tutto questo immaginario nasceva.

Il resto del film segue le dinamiche originarie, con la comparsa di mostri giganti e la lotta della SSSP/United Nations Scientific Investigation Agency prima, e di Ultraman poi, contro alcune delle creature più iconiche della prima serie; un ottimo restyling dei kaiju con un Mefilas di altissimo livello e -soprattutto- uno Zetton (il villain finale della serie del 1966) -in forma di angelo alla Evangelion– di una bellezza mozzafiato.

Fin qui prevedibile. L’inaspettato giunge invece dal tasso di commedia frizzante e autoreferenziale che regala dialoghi abbastanza inediti in prodotti del genere. In una sequenza memorabile gli scienziati che studiano i mostri si chiedono perché le creature comparse fino a quel momento abbiano corpi simili e minime variazioni solo su alcune parti mentre i nuovi siano completamente diversi biologicamente. Questa riflessione emerge dal fatto che all’epoca per risparmiare sul budget di produzione si prese il costume di Baragon (dal film Frankenstein alla Conquista della Terra) e lo si modificò ben quattro volte per realizzare altrettanti kaiju di Ultraman e Ultra Q: Pagos, Neronga, Magular e infine Gabora. Quindi quello che era un retroscena di backstage produttivo di 50 anni fa diviene qui sorta di partitura narrativa razionale. E fortunatamente di riflessioni del genere ce ne sono molte.

Torna anche la base politica e geopolitica come in Shin Godzilla, ma stavolta a sfruttare la diplomazia non sono solo gli umani ma anche alieni che si confrontano con gli umani (solitamente cercando di circuirli per scopi funesti) e alieni tra di loro, in una sorta di antropomorfizzazione sociale degli extraterrestri, come già evocato genialmente nella serie. D’altronde spariscono (in parte) quelli che erano i riferimenti storici alla tuta del protagonista, primo tra tutti la sorta di “pinna dorsale” che serviva in passato a nascondere la sezione di cucitura di chiusura del costume. Sparisce anche il color timer frontale in virtù di un mutamento del colore completo del costume nel corso delle battaglie.

Spesso il pubblico critica la vacuità della componente umana nei film statunitensi di Godzilla e King Kong. Ma è ovviamente lavorando alla caratterizzazione dei terrestri e su un’equilibrio di contrasto con le creature che si riesce a realizzare un film di livello come questo che non è un vuoto action tout court ma un film vero e proprio in forma di commedia multirazziale tra umani e alieni.

Il cast è meno di livello di quello di Shin Godzilla ma annovera comunque bei nomi e bei visi come quello di Takumi Saitoh (Last of the Wolves) nei panni di Ultraman, Hidetoshi Nishijima (Drive My Car), Masami Nagasawa (Detective Chinatown 3) e Yutaka Takenouchi che riveste lo stesso ruolo che aveva in Shin Godzilla.

In un “Anno” memorabile per l’universo tokusatsu, che ha visto l’uscita di questo film e successivamente di Kamen Rider Black Sun ideato da Shiraishi (The Blood of Wolves) e a inizio 2023 del reboot del primo Kamen Rider (sempre ad opera di Anno e Shinji Iguchi), Shin Ultraman si rivela un oggetto divertentissimo per un pubblico più maturo del target a cui le rispettive serie sono ad oggi indirizzate. Se Shin Godzilla era un capolavoro straziante, nichilista e oscuro, Shin Ultraman è un balocco colorato e divertentissimo in forma di film di ottima rilevanza. Anno ha portato un concept innovativo e autoriale come raramente si era visto in 60 anni di storia (forse giusto negli esperimenti più visionari di Keita Amemiya e di Akio Jissoji), a dimostrazione di come quando si parli di mostri giganti, la patria indiscussa continui ad essere sempre il Giappone.