The Evil Cult

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The Evil Cult giunge in una parte avanzata, quasi in chiusura, della storia del nuovo wuxiapian post new wave di Hong Kong; film fondamentali come Swordsman II o New Dragon Gate Inn erano infatti usciti un anno e mezzo prima e da entrambi, come da molti altri titoli, questo film va a “prelevare” qualcosa.

D’altronde Wong Jing non si lasciava scappare nessun potenziale affare filmico e visto il successo del genere decide di tuffarcisi a piene mani. In soli due anni dal 1993 al 1994 dirige infatti ben cinque film trasversali tra kung fu movie e wuxia (Legend of the Liquid Sword, Last Hero in China, Holy Weapon, The Evil Cult e The New Legend of Shaolin), tutti mediamente noti per via del livello sensibilmente alto di attori, coreografi e maestranze coinvolte. E solo per la cronaca, nel 1993 dirige ben nove film.

The Evil Cult è liberamente tratto dal romanzo The Heaven Sword and Dragon Saber del maestro Louis Cha, terzo capitolo della Condor Trilogy, epopea tradotta in film e serie tv più volte, ad Hong Kong.

Il film è un’opera corale, e come scritto da tanti colleghi, ha una struttura narrativa pressoché incomprensibile ad uno spettatore occidentale, fatta di sottintesi, e di basi narrative consolidate, numerosi personaggi con alterna presenza dati in mano ad un cast di elevatissimo livello; abbiamo il protagonista interpretato da Jet Li e i suoi genitori da Francis Ng e Sharla Cheung. Intorno ci sono Sammo Hung, Richard Ng, Collin Chou, Chingmy Yau e Leung Kar-Yan.

Ognuno appartenente ad una setta marziale diversa, ognuna dotata di poteri e “posizioni” speciali, ognuna destinata ad entrare in conflitto con le altre. Nulla di così strano e inusuale; questa costruzione filmica era mediamente ricorrente nel cinema di Hong Kong del periodo, soprattutto quello basato su un’origine letteraria. Il pregio migliore è forse la cura dei personaggi, sopra le righe, tipo cartoon, ma dotati di grazia e una gestione di estremo polso, con tutti i personaggi femminili deliziosi, un ridicolo Richard Ng nei panni di un guerriero pipistrello vampiro e i due guerrieri dotati della potentissima palma jinx, “vestiti” da Leung Kar-Yan e Zhang Chun-Zhong. 

La narrazione avanza per inerzia al solo fine di avvicendare tutta una serie di idee e visioni il più delle volte interessanti e che hanno elevato non di poco la fortuna critica dell’opera. Un guerriero incastonato ad un’enorme sfera di pietra che utilizza come arma e mezzo di locomozione, un duello utilizzando un guzheng letale (sequenza mimata poi con rispetto ed estrema perizia da Stephen Chow in Kung Fu Hustle), scontri in mezzo al deserto con guerrieri che sbucano da sotto la terra (si, come in New Dragon Gate Inn), armi e colpi pittoreschi. Il tutto ovviamente come sempre alternato a commedia e melodramma. La messa in scena è grossolana come sono grossolane le seppur inventive e a tratti esaltanti coreografie del “grande” Sammo Hung, comunque sotto la sua media qualitativa del periodo.

Il successo relativamente basso del film ha fatto si che non venissero realizzati i previsti sequel regalando un finale narrativamente sospeso.

Se il titolo internazionale con cui il film è più noto è The Kung Fu Cult Master, ma è anche conosciuto in Italia come Le Sette Spade della Vendetta (per via di una successiva edizione DVD),  lo riportiamo come The Evil Cult per il motivo che si tratta di uno dei primi film del ventennio d’oro di Hong Kong ad approdare in Italia in tempi non sospetti con quel titolo; non al cinema, non in home video ma nella prima piattaforma televisiva a pagamento italiana per la televisione analogica terrestre, Tele+, piattaforma che ebbe una fortunata vita tra il 1990 e la fine del secolo. Intorno al 1997 mise in palinsesto appunto The Evil Cult, insieme ad una manciata di altri titoli “simili”, incluso The Rape of the Red Temple, Terremoto nel Bronx e The Blade.

Nel 2022, trent’anni dopo, escono invece in una piattaforma digitale e cinese, Youku, il sequel in due parti, ovviamente intitolato New Kung Fu Cult Master, co-diretto da Wong Jing e Keung Kwok Man.