Ghost Game

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Ghost GameProsegue, dopo Shutter ed AB-Normal Beauty, il percorso tutto thailandese dell’horror basato sullo sguardo e sulla sua ingannevolezza, in un continuo gioco fatto di stimolanti riferimenti intertestuali: Ghost Game è l’ennesima tappa di una profonda e spontanea riflessione cinematografica sul rapporto tra orrore e tecnologia, un esperimento sospeso nella soglia tra il visibile ed il non visibile che riesce ad approfondire e sviluppare tematiche di stampo sociale non indifferente - riprendendo nel frattempo un discorso già iniziato diversi anni or sono con film come l’americano My Little Eye. Horror a sfondo ectoplasmico o thriller di stampo psicologico? Probabilmente entrambe le cose, anche se forse non dosate in maniera corretta: Ghost Game paga il prezzo di uno script non all’altezza delle intenzioni, che non riesce a sfruttare le potenzialità del soggetto (peraltro non del tutto originale) e che tende a portare alla noia piuttosto che a interessare.

Il gioco che da il nome al film è un reality show nel classico stile del Grande Fratello, che vede gli undici protagonisti costretti a convivere giorno e notte in un’ex-prigione di guerra. Lo scopo della competizione è quello di provocare l’ira dei fantasmi in essa presenti e sopravvivere alla paura il più a lungo possibile: chi riesce a resistere fino alla fine si porterà a casa 5 milioni di Baht. La troupe televisiva riempie la location di piste false e di trabocchetti per convincere i concorrenti dell’effettiva esistenza degli spettri. L’unico problema, però, è che gli spettri ci sono davvero e si scoprono essere ben più violenti di quel che ci si poteva immaginare. L’interesse di Ghost Game, inizialmente relativo alle sperimentazioni di cui sopra, scivola fin dai primi istanti nella più completa routine e dopo non molti minuti dall’inizio del film si cominciano ad intravedere i “veri” fantasmi, non quelli della finzione scenica bensì quelli dei fin troppo abusati cliché di Ju-On (con tanto di effetti sonori a tema). La sensazione di già visto, dunque, si fa subito strada nello spettatore e per la maggior parte del primo tempo si assiste alle solite, convenzionali scene di costruzione della tensione che sfociano nel classico effetto da spavento improvviso ed in un continuo susseguirsi di apparizioni più o meno telefonate (più volte, inoltre, viene richiamato alla memoria il non proprio riuscito Six). Pian piano, però, l’atmosfera si fa interessante e quando comincia ad insinuarsi il dubbio della follia i giochi dello sguardo cominciano ad ingannare protagonisti e spettatori - sia quelli davanti allo schermo cinematografico (dunque del film in sé) che quelli davanti alla televisione (quindi, gli appassionati del Ghost Game) - in un curioso labirinto di sguardi e percezioni che si intersecano senza fine. La monotonia dell’ambientazione ed una pessima caratterizzazione dei personaggi rovinano però ogni buon intento. L’ottima fotografia dona al tutto una riuscita atmosfera cupa ed inquietante, ma non basta: i protagonisti non sono altro che delle pedine monodimensionali interpretate per gran parte da giovani attori bellocci ed incapaci, e ciò mortifica brutalmente la sensazione di opprimente paranoia che con una maggiore attenzione si sarebbe potuta ottenere. Ne risulta un prodotto interessante, ma rovinato da degli evidenti limiti a livello di sceneggiatura e da un’eccessiva superficialità - confermata peraltro da un finale decisamente non all’altezza.

Va segnalato, piuttosto, il putiferio che Ghost Game ha sollevato per via dei suoi riferimenti politici: il continuo rimando al genocidio perpetrato dai Khmer Rossi ai danni di 16.000 cambogiani, fatto avvenuto nelle prigioni S-21 (anche se nel film tali carceri vengono chiamate S-11) tra il 1974 ed il 1979, viene in questo caso strumentalizzato per inscenare un finto gioco mediatico che ha fatto discutere non poco. Si pensi che i produttori del film chiesero al governo Cambogiano, prima di iniziare le riprese, il permesso di girare il film all’interno delle stesse prigioni. Nonostante le pronte scuse della casa di produzione, in seguito allo scandalo in Cambogia è stato immediatamente richiesto il bando di qualsiasi tipo di prodotto thailandese. Viene da chiedersi se ci fosse davvero bisogno di optare per un’ambientazione così scomoda.