Talk to the Dead

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Talk to the Dead fa parte di un progetto composto da tre film totalmente indipendenti l'uno dall'altro e accomunati solo dal genere, l'horror. Prima ha visto la luce Cult di Koji Shiraishi, un film folle e liberissimo, una ottima sorpresa e inizio di saga. Seguiva The Crone, caduta macroscopica e oggetto irrilevante firmato da Eisuke Naito. Infine è giunto questo Talk to the Dead e la qualità è di nuovo salita pur tenendosi lontano sia tematicamente che stilisticamente dai due titoli precedenti. Norio Tsuruta, già noto per Ring 0, Orochi e Premonition, dirige un film che si avvicina a tanto ottimo cinema horror locale post Ring, ma pur osservando una evidente continuità tematica riesce ad inserirci del candore melodrammatico e un certo tatto, tale da dirigere un'opera sentita e funzionante, non particolarmente paurosa ma sicuramente inquietante, senza mostrare praticamente nulla di effettato e macroscopicamente perturbante.
Dopo la videocassetta posseduta di Ring il cinema horror asiatico si è incanalato in un filone composto di tecnologia lesiva e pregna di rancore, dai computer di Kairo, passando per i telefoni di The Call o Phone, la macchina fotografica rivelatrice di Shutter, spesso mescolandosi con un altro sottofilone, quello delle leggende metropolitane, sottogenere ben prolifico e intramediale, specie in Giappone.
Stavolta tocca ad una applicazione per smartphone che permette di parlare con i parenti defunti. Ma mai, alla loro richiesta, permettergli di venire a trovare i vivi, pena -ovviamente- la morte. A farne le spese un gruppo di prostitute con traumi a carico e parallelamente una giornalista che indaga su questa presunta leggenda metropolitana.
Un pugno di sceneggiatori noti lavora sulla narrazione per renderla plausibile e coinvolgente mentre lo stile classico del regista si adagia sulla storia donandogli calore, dolcezza e tensione.
Ayaka Komatsu, già vista in Miss Zombie se la cava bene nel ruolo così come tutti i vari comprimari. Un film minore ma che vista la concorrenza riesce ad elevarsi sulla media e a risultare un'ottima sorpresa, affiancandosi ad altri lavori del genere interessanti del 2014 giapponese come il Bilocation di Mari Asato.