You’Ve Got a Friend

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Tra i film in programma alla 25esima edizione del Far East Film Festival di Udine, c’è You’ve Got a Friend (Yūgata no otomodachi) di Hiroki Ryūchi.

You’ve Got a Friend è tratto da un manga di Yamamoto Naoki in tre parti, quest’ultime contenute nel primo volume della serie Fragments, che raccoglie le storie giovanili del controverso e interessante fumettista giapponese.

Yoshio (Murakami Jun), un impiegato di mezza età che lavora per il dipartimento idrico cittadino, ha una passione: intrattenersi a lungo con Miho (Nahana), una dominatrice del club sadomaso locale. Nonostante Miho adempia perfettamente ai suoi compiti, mostrando anche una particolare attenzione verso Yoshio, il suo cliente non riesce a dimenticare Yukiko (Azumi), colei che gli ha provocato un indescrivibile piacere ma che lo ha quasi fatto morire annegato.

Hiroki, attraverso una regia quadrata, la fotografia curata di Nabeshima Atsuhiro e la scrittura solida di Kurosawa Hisako, riesce a catturare bene lo spirito del manga di Yamamoto, che bilancia ironia e dramma, piacere e dolore. Nel percorso di Yoshio e Miho, in qualche modo originale e privo dei classici traumi cinematografici che scatenano esperienze sadomasochistiche o sex working, si leggono le istanze di una sessualità maschile repressa e di una femminile più aperta, di soffocanti dinamiche familiari o lavorative e del tentativo di liberarsi dalle maglie dell’omologazione. 

Quello che sembra essere il sottotesto politico, ovvero le prime elezioni politiche del sindaco della città in cui vivono i protagonisti, si rivela in realtà essere una metafora della scelta che deve compiere Yoshio tra il ritrovare l’apice del piacere a lungo agognato, coronandolo con la propria dipartita, simbolo dello sfasamento tra lui e le persone che lo circondano, o accettare le difficoltà della vita, che alterna gioia e tristezza in una continua altalena. In questo senso, i frequenti campi lunghi o lunghissimi che mostrano i personaggi calati nell’ambiente, ricalibrano la loro dimensione individuale e fanno da contraltare ai primi piani su colpi e ferite di matrice sadomaso. Hiroki, così facendo riesce a creare un contrappunto visivo notevole e d’impatto.

Il regista, inoltre, non è nuovo alle trasposizioni cinematografiche di fumetti (basti vedere il suo recente Noise, tratto dall’omonima opera di Tsutsui Tetsuya, anche questo un film tutto sommato compatto) e sceglie i progetti in base al suo gusto, creando spesso prodotti riusciti, alternando produzioni commerciali a film più personali.
In conclusione, questo film è sicuramente apprezzabile e mantiene una forte impronta autoriale, ma Hiroki sembra ormai lontano dai fasti di Tokyo Trash Baby e Vibrator, radicali nella messa in scena e nella costruzione di un cinema fuori dagli schemi.