Dark Devil

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Thailandia. Uno stregone fa levitare da una ciotola dei lunghi chiodi che piroettando svolazzano fuori dalla finestra, raggiungono la casa di una ragazza, le entrano in bocca e escono dallo stomaco tra fiumi di sangue. Morta la ragazza, lo stregone può finalmente farne il suo schiavo sessuale zombie visto che precedentemente lei lo aveva respinto.
La Thailandia possiede una enorme produzione di pessimi horror in digitale realizzati direttamente per il video, film dai titoli “accattivanti” del calibro di The Beast, Devil Species, Seven Days in Coffin, film al 99.9% al limite del guardabile, assolutamente indifendibili. Ma come in questo caso tanta è la bruttura da farsi stile e da risultare quasi –e sottolineamo quasi- piacevole.
Lo stregone di cui sopra viene pagato profumatamente da un ragazzo che non riesce a possedere una fanciulla già felicemente fidanzata. Decide così di scagliare contro di lei e i suoi cari i propri poteri funesti. Tenteranno di fronteggiarlo degli altri monaci e stregoni del bene.
Il film si risolve così ad un continuo florilegio di scorpioni che escono dai corpi, organi interni, lame e oggetti vari continuamente vomitati insieme a litri di sangue, il tutto affogato in una marea di effetti digitali così poco competitivi da risultare squisiti, seguendo la scia di film come Art of the Devil 2 in versione cheap. Sul finale si giunge ad assistere ad un duello aereo tra due mucche volanti, tra raggi energetici, effetti sonori da retrogame e follie assortite.
Allucinata la colonna sonora che avvicenda pezzi del tutto fuori luogo, effetti sonori pessimi, e brandelli de La Notte sul Monte Calvo di Musorgskij frammisti alle note ilari di chissà quale serie televisiva supereroistica.
La fotografia algida e acida è quella tipica di questi prodotti digitali thailandesi, quindi perfettamente in media, gli attori non brillano per talento (anche se alcuni riescono a elevarsi sugli altri) mentre la narrazione è assolutamente allucinata e libera saltando da commedia becera a splatter totale, in un lavoro folle che in parte ricorda i CATIII hongkonghesi dei primi ’90.
La regia analfabeta di Denchat Rakyart non aiuta lo svolgimento della narrazione ma riesce comunque a regalare un’onestamente orribile ma unica esperienza filmica.

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