The Untold Story 2

Voto dell'autore: 3/5

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Fung (Pauline Suen), dopo aver passato l’infanzia in manicomio per superare il trauma della barbara uccisione della sua famiglia, si trasferisce dalla Cina ad Hong Kong a casa della cugina e del suo fidanzato. Poco dopo la bella e pericolosa mainlander si innamora dell’uomo e si sbarazza della scomoda presenza della frivola convivente. Ma mettere a tacere un omicidio non è mai troppo facile.

Caratteristica principe del cinema exploitation è quella di spremere ogni goccia possibile da un’idea che ha generato un buon film e relativi buoni incassi: il sequel di The Untold Story segue questo principio e, come molto spesso accade nel cinema di Hong Kong, in comune con la pellicola che l’ha preceduto ha solamente l’idea di base.

The Untold Story 2 si può quasi considerare la versione speculare dell’originale che lo ha ispirato: se dal primo al secondo capitolo il coltello del killer passa dalle mani di un uomo a quelle di una donna così l’immigrazione del pazzo omicida non è più una fuga da Hong Kong, ma la ricerca di una nuova vita proprio nell’ex colonia; rimane in entrambi i film l’importante figura di Anthony Wong, che da aguzzino nel film di Herman Yau passa al ruolo di poliziotto in quello di Andy Ng.

Nonostante la mano del produttore sia la stessa (ancora Danny Lee), gran parte della morbosità e dell’atmosfera malsana che si respirava nel primo capitolo si perde per strada, complice in prima battuta il passaggio di un attore come Anthony Wong da protagonista a comprimario: il volto di Pauline Suen, spesso in primo e primissimo piano, è allucinato e credibile, ma non riesce a sopportare il peso che reggeva l’attore nel film del 1993.

Una sceneggiatura fiacca e troppo lineare contribuisce ad appiattire un lavoro che non sembra intenzionato a passare il segno neanche sotto il punto di vista della violenza: gran parte delle scene splatter iniziano fuori campo per entrare nel quadro solo attraverso il sangue che scorre, segno di un atto avvenuto ma quasi mai mostrato.

Stupisce inoltre la mancanza quasi totale di un vero e proprio centro di gravità: ai quattro personaggi cardine viene concesso lo stesso spazio e tempo sullo schermo, tanto che è difficile individuare chi sia davvero il protagonista; questo confonde lo spettatore che fatica ad appassionarsi alla vicenda.

L’estro di Law Gam-Fai, veterano del Cat. III già sceneggiatore di The Untold Story e Dr. Lamb, regala un film monocorde, che non concede particolari sussulti neanche nelle brevi scene pruriginose con protagonista Yeung Faan, attrice dalla brevissima carriera cinematografica quasi completamente asservita al mondo del “vietato ai minori”. I successivi epigoni generati dal film di Herman Yau sono classificati come IIB.